Quindi siamo i primi in Italia. A slot non ci batte nessuno. Stando ai rapporti diffusi dalla Nuova Sardegna, ci giochiamo mezzo milione di euro al giorno. Me li immagino, certi commenti. La colpa è degli italiani che ci abbandonano nella miseria più nera e quindi noi sardi ci buttiamo sul gioco d’azzardo. In quanto a chiederci quali siano le correnti autoctone che alimentano questa malattia, non se ne parla neppure. La colpa viene sempre da fuori, come gli invasori. Non vale la pena, a esempio, di scoprire che cosa ci sia di autonomamente malato nei nostri centri più grandi, dove si concentra il fenomeno che ha fatto balzare l’intera Sardegna al primo posto nella triste classifica nazionale. Che cosa avvenga nel formarsi delle nuove socialità nella caotica crescita di Olbia, nell’irrisolto rapporto tra città e campagna di Nuoro, o nelle disperate periferie di Cagliari. E soprattutto nella declinante Sassari, che sembra la capitale sarda delle slot. Il mio personaggio del giorno è appunto un ludopatico di Sassari. Vive a Sassari, almeno, e da un bel po’ di anni. Non credo che ci sia nato perché ha la pelle nera e ancora parla male l’italiano. E non so se ci viva legittimamente perché quando si parla di documenti in regola e roba così, tende a cambiare discorso. Insomma, parlo di un immigrato molto probabilmente non in regola: una categoria tra le più indifese. Uno che dipende dagli sbalzi di umore di noi fortunati nativi bianchi, forti e fieri della meritata circostanza di essere nati qui e non altrove. E quindi padroni della sua fortuna. Se un giorno siamo di buon umore, gli diamo qualche spicciolo o lo indirizziamo verso chi ha bisogno del suo lavoro (ha una specialità artigianale che svolge – mi dicono – piuttosto bene), se invece ci gira storta facciamo finta di non vederlo. Alle volte mi sorprendo a pensare che in questo mondo altero di ex migranti immemori della nostra storia di calci nel sedere ricevuti dall’America sino al Belgio, in fondo quel tale ha la stessa forza sociale dei miei gatti ai quali do da mangiare con varia sollecitudine a seconda di impegni e stato d’animo della giornata. Comunque siccome anche a Sassari ogni tanto si avvertono brividi di civiltà, intorno a quel migrante più o meno regolare e alla sua disperata voglia di lavoro e di integrazione, si era creata una piccola corrente di solidarietà. Roba spontanea, di quartiere: un condominio, qualche bar, due o tre commercianti. Sciocchezze, insomma. Almeno per noi. Ma per lui stavano per assumere un significato di indescrivibile importanza. Stava per avere una casa e, insieme, del lavoro assicurato per molto tempo. Tutto era basato sulla fiducia che quell’uomo ispirava: si trattava infatti di farlo accedere alle nostre case, in molti casi anzi di esercitare un controllo su di esse. Insomma, stava per cambiare la sua vita sino a quando, all’improvviso, ha fatto una cosa che non aveva mai fatto: ha chiesto dei soldi, un’elemosina praticamente, e lo ha fatto in modo insistente, compulsivo, come se quei pochi soldi gli servissero per motivi vitali. Alcuni hanno cominciato a sospettare e qualche giorno dopo è stato visto con gli occhi sbarrati sullo schermo di una slot in un bar del quartiere. Era tanta l’urgenza di giocare che non si era neppure allontanato dalla zona in cui stava per integrarsi. E si è saputo che era noto in molti locali. Cosa pensate sia accaduto? La paura ha vinto. “Ma se questo è un giocatore compulsivo magari informa i ladri su quando a casa mia non c’è nessuno”. Timori tartufeschi, accuse ingiuste, condanne da sepolcri imbiancati: tutto ciò che volete, ma comunque quel filo sottile di solidarietà si è spezzato e il nobile gruppo dei mecenati di quartiere ha preso a dare da mangiare a un altro gatto. Ecco la differenza fra questo gioco d’azzardo e quello di sempre: quello dei giorni nostri uccide i deboli, i poveri, non si limita a rovinare chi ha soldi in tasca, come avveniva un tempo. Nella mia città, a esempio, si favoleggiava di fortune passate di mano sui tavoli da poker di un elegante circolo privato. O di imprenditori rovinati in un appartamentino dove il meglio della borghesia sassarese andava a provare brividi. Ci si additava a vicenda certe figure poco commendevoli di commercianti che si diceva girassero tra i tavoli da gioco incitando a puntare più alto: “Stia tranquillo, i soldi glieli do io”. Ma era un fenomeno limitato a pochi, roba di provincia, di tutte le province, niente di diverso dalle notti fumose raccontate da Piero Chiara in un’altra parte di mondo. Ora no, ora questa droga se la prende con i poveracci, con gente come il mio personaggio del giorno. E il percorso è sempre lo stesso. Comincia a cercare denaro, qualsiasi somma, non per vivere ma per giocare, poi sta male, si sforza di smettere, inutile. Ho parlato, con quell’uomo, e la sua storia è uguale a quella di tanti altri che vedo nei bar o anche nelle tabaccherie comprare quantità incredibili di gratta e vinci. Sapete che anche lì ci sono i ludopatici e le ludopatiche? Tutti uguali: giocano per sfuggire ai loro problemi e ne accumulano altri infinitamente più gravi. Li vedi tornare allo stesso bar o alla stessa sala (un fatto scaramantico?) per riprendersi il denaro perso e perderne invece dell’altro. Li vedi mentire, come il mio personaggio del giorno, quando ti chiedono dei soldi. E allora tu ne diffidi, ne hai paura, li isoli. Le loro relazioni sociali sono a poco a poco compromesse, sino ad annullarsi. Per chi ce l’ha, resta solo la famiglia. E non sempre. E’ difficile mantenere dei rapporti quando chi è intorno a te sa che tu gli interessi solo come potenziale erogatore di quattrini. Ed è la fine. Per fortuna Sassari è anche la città di associazioni intelligenti e determinate come la No Slot della mia amica Michela Pilicchi Manca: cercatela sui social e datele una mano. Lotta contro le slot machine e le sale da gioco. Perché non esiste niente che giustifichi l’esistenza di questi luoghi, se non un malinteso senso della libertà imprenditoriale. Gioco consapevole? Anche quando i destinatari dell’offerta sono i più deboli? So che sto per dire una sciocchezza, ma mi fanno persino rimpiangere quello Stato repressivo che faceva il “buon padre di famiglia” e ti consentiva di rovinarti soltanto se potevi permetterti di raggiungere uno dei pochi casinò autorizzati sul territorio nazionale. Roba da ricchi, cocaina stile Pitigrilli. Ora invece è arrivato il progresso e il casinò è a disposizione anche dei disgraziati. Soprattutto dei disgraziati.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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