Oggi sono tornato a Buddusò. Dovevo parlare con Trappadè. C’ero andato più di un anno fa con il mio amico Tore Sanna, il suo maggiore biografo. Ci sono tornato solo, perché non era roba di ricerche storiche sul campo. Oggi erano fatti miei e suoi, di Trappadè. Sapete, è impegnativo per un sassarese andare a trovare Trappadè. Per un sassarese andare a trovare Trappadè è come per un napoletano andare a trovare Pulcinella. Saltano fuori tutti i serpentelli radicolari delle tue origini che si infilano in mille posti pubblici e privati della tua vita e di quella degli altri. Roba antropologica, non sono questioni che ti puoi grattare le natiche e pensare ad altro mentre ci parli. E’ in una fossa comune del vecchio cimitero, lì che se la spassa con altri spensierati come lui, che ce n’è uno che recita sempre ‘A livella di Totò e lui, cinico come al solito, che lo manda affanculo spiegandogli che neppure la morte fa uguali i ricchi e poveri. L’hanno sepolto lì a metà degli anni Sessanta, quando ha deciso di smetterla di rompere i coglioni alle suore dell’ospizio dove lo avevano ricoverato prelevandolo dalle vie del centro vecchio di Sassari. A Buddusò, in quei pochi anni di vita da convento, non ha cambiato stile. Usciva, faceva il giro delle bettole (un po’ più povero rispetto alla variegata offerta di Sassari) e la differenza era che la notte, al suo ritorno, non trovava un solitario nido di stracci nel suo magazzeno, ma poteva insultare in maniera colorita donne in saio e velo che lo accudivano, a quanto ne so, con sufficiente amore. Mah! Chissà che in fondo non siano stati gli anni più felici della disperata, cinica, brutale, fulminante, beffarda, coraggiosa e inconcludente maschera di Sassari. Non so: da un lato mi sembra strano che possa essere stato felice e amare quel paese fatto, nella sua ottica, da tre bar o quattro, generalisti per di più, neppure bettole specializzate in vino e bò, come lui preferiva. Ma dall’altro lato mi sembra strano che, una volta che la signora con la falce l’ha liberato da obblighi e convenienze, abbia deciso di starsene a Buddusò. A Sassari in fondo avrebbe ritrovato tutti i suoi luoghi, non è che sia cambiato poi troppo dalla metà degli anni Sessanta. Poteva insediarsi nella sua catapecchia di via Arborea, è ancora lì. O addirittura giocare uno scherzo da prete al suo cugino prete e infestargli la casa di via Coppino dove il vice arcivescovo conduceva vita ritirata con le sorelle sino a schiattare anche lui negli anni Sessanta. Del resto quella casa mi sembra adattissima a contenere uno spettro in più, ché di sicuro ne conterrà già tanti, stando all’aspetto. Comunque io gli dovevo parlare di quando da bambino insieme agli altri pizzinni pizzoni gli cantilenavo “Trappadè, Trappadè, pesadinni chi so’ li tre!” e lui mi rispondeva con una circonvoluta maledizione in sassarese strettissimo che faceva riferimento a un pacchetto di Serraglio e ai relativi fiammiferi Minerva dimenticati sul comodino di mia madre, invitandomi ad avvisarla che erano i suoi e di non offrirli quindi al prossimo ospite. Ridevo. Ero ancora alle elementari. Soltanto alle medie ho capito che mi stava dando del figlio di bagassa. E volevo parlargli, oggi, di quei tempi, dirgli che la sua reazione era giusta e che lui faceva bene a incazzarsi e insultarci e che noi facevamo bene però a fare il nostro mestiere di pizzinni pizzoni. Che il mondo è fatto così e lui cose del genere le doveva capire più di me. Mi ha dato ragione. E allora gli ho confessato che in realtà avevo un grande rispetto per lui. Anche se ancora non sapevo che era un eroe della Grande Guerra rovinato da una pallottola crucca che gli aveva fracassato un braccio e gli aveva impedito di continuare a fare il suo mestiere di fabbro, condannandolo all’ozio infelice del vino. Mi aspettavo che mi rispondesse che da vivo se ne era accorto e che ora, da morto, mi perdonava. Ma, sincero anche da defunto, mi ha detto che non sapeva chi cazzo fossi e che se avesse dovuto conoscere e riconoscere tutti i bambini che a Sassari gli urlavano appresso ogni giorno che qualcuno mandava in terra, non avrebbe avuto il tempo neanche per bere. Stabilita così una certa confidenza, gli ho chiesto che cosa ci facesse a Buddusò, perché non andasse via, perché restasse in un paese che mette le bombe perché non vuole gli sfortunati, gli scacciati, i veri poveri del mondo di oggi, gli eredi moderni della sua miseria antica. Gli ho detto di tornare a da noi, a Sassari, dove siamo buoni e generosi, dove gli immigrati, sì, magari ci scapperà qualche battuta, come succedeva per lui, ma in fondo siamo accoglienti e tolleranti. Mi ha guardato con gli occhi di allora, mi ha puntato il tutore di cuoio che porta al braccio, e con una ghigno, lo stesso di allora, mi ha detto -Dì a mamma toia chi chissu pacchettu di Serragliu… Aveva capito che ero anch’io di Buddusò. Che quando lo sfottevo da bambino non è vero che lo rispettavo, che sputacchiavo fuori una crudeltà che chissà come mi era entrata dentro. Che quel fondo di anima nera ce l’abbiamo tutti, da Buddusò a Sassari, dall’Italia all’America. E che uomini come lui sono vittime che, almeno da morti, possono permettersi di fare i carnefici della nostra coscienza. E di farci riflettere sul nostro altezzoso politically correct. “Non rompeteci le balle, siete tutti di Buddusò”. Ho salutato e mi sono diretto verso la macchina posteggiata lì vicino.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.018 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design