Passeggiavo in una testata online e ho letto: “Il teatro è necessario come avamposto contro la barbarie, contro l’incultura, contro l’analfabetizzazione sentimentale”. E ho deciso che Toni Servillo è il mio personaggio del giorno. Io a dire la verità quest’uomo ce l’avevo in testa da quando il mio caro amico attore Mario Lubino, saputo che non l’avevo mai vista, mi aveva ordinato di guardare la versione di Servillo di “Sabato, domenica e lunedì” di Eduardo De Filippo. Versione di Servillo nel senso che sue sono la regia teatrale e la parte del protagonista, di Paolo Sorrentino la regia televisiva. E così per la prima volta ho visto un grande attore interpretare Eduardo sfuggendo alla subdola trappola della sua strabordante personalità teatrale. Senza imitarlo, cioè. E lo sapete che cosa significhi interpretare De Filippo senza sentirsi dire che bravo sembra proprio De Filippo? Significa appartenere al ristretto gotha teatrale degli imitati, dove gli imitatori sono esclusi. E infatti capita di sentire che bravo sembra proprio Toni Servillo. Ma al di là di questa sciocchezza, oggi Servillo è il mio personaggio perché mi ha fatto riflettere con questa sua affermazione sul potente ruolo del teatro, di tutto il teatro, anche del più umile. Il più prestigioso dei palcoscenici e le povere tavole del saltimbanco avvicinano nello stesso modo l’uomo al mistero del suo esistere. Vederci rappresentati ci fa entrare in relazione con la nostra natura più profonda, ce la rivela, ne esorcizza i caratteri bestiali. Non a caso il teatro ha origini rituali, appartiene al momento in cui l’uomo rivolgeva al trascendente le prime domande sulle sue origini. Parte di questa ricerca si è indirizzata verso la religione, parte verso l’eterna scoperta di se stessi, la religione laica di ciò che sappiamo di essere e di ciò che è inconscio, una sorta di contropotere della ragione opposto a quello che si ammantava di misteri sacri. Il contropotere del teatro. Questo infinito rapporto di persone che assistono incantate alla recita di se stesse è la risposta che da sempre ci siamo dati ai nostri bisogni fondamentali. Primo dei quali la catarsi, la via di uscita dalle nostre angosce, che esorcizziamo semplicemente mettendole in scena. Un’operazione esistenziale che senza averne percezione talvolta avviene al di fuori del palcoscenico e di ogni altro luogo deputato. Sul palco è però la visione condivisa dei nostri sogni, l’appropriazione pubblica di tutti gli elementi negati dall’altra religione, quella che spesso ha coperto di un manto assolutorio la tirannia, l’ignoranza e la guerra. Il teatro è una risposta antica, connaturata alla nostra esigenza di ritualità ma anche di gioco, di narrazione e pure di beffarda satira, di ricreazione. O semplicemente di piacere puro nell’estetica della rappresentazione. E’ su quelle tavole e in quella platea, tra quei palchi, sino all’ultimo sedile del loggione, che impariamo a dare una cornice umana e sociale agli impulsi della passione, che assorbiamo il senso dell’etica. Ed è questo che penso Toni Servillo voglia dire quando parla di avamposto contro la barbarie.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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