Avete presente quelle persone che con rabbia e bava alla bocca chiedono carcere sicuro, duro? Quelle che, per intenderci, commentano nei vari interventi alle varie notizie di cronaca con un “buttate la chiave” oppure “per lui ci vogliono chiavi di cioccolato?”. Sono quelli che si riconoscono, più o meno nell’alveo del centrodestra, quelli che aggiungono con orgoglio “prima gli italiani”. Ecco, a questi signori provo a dedicare, oggi, il personaggio del giorno che è il presunto terrorista di fede religiosa presente nelle carceri sarde ma che ha, come corollario e personaggi non protagonisti la sicurezza del paese, i nostri parlamentari, la Polizia Penitenziaria e la serietà. Proviamo a fare ordine. L’istituto del carcere duro, quello riservato a mafiosi, camorristi e terroristi esisteva fin dal 1975. Era contemplato dall’allora articolo 90 della L. 354/75 e furono sottoposti a questo regime la maggioranza dei terroristi rossi e neri: brigate rosse, Nap, Ordine Nuovo, tanto per ricordarne qualcuno. Successivamente – e più precisamente nel 1986 – l’articolo 90, considerato da molti troppo inumano, venne abrogato e venne istituita la sorveglianza particolare con il diritto di impugnazione presso il tribunale di Sorveglianza da parte del detenuto. Le stragi di Capaci e Via D’Amelio nel 1992 portarono il nostro paese (e con esso il governo e il parlamento) a rivedere la politica del rigore all’interno delle carceri. Ci si rese conto che era necessario ritornare ad un regime “duro” con alcune categorie di detenuti. Fu per quel motivo che vennero riaperte le sezioni di massima sicurezza di Fornelli all’Asinara e dell’Agrippa a Pianosa. Vennero trasferiti circa duecento mafiosi e molti di essi non apprezzarono questa scelta effettuata dallo Stato. Si narra (e le indagini non hanno, in realtà, mai fatto luce sulla questione, lasciando comunque moltissime zone d’ombra) che ci fu una vera e propria trattativa per costringere il Governo alla chiusura delle sezioni di massima sicurezza e al trasferimento dei detenuti appartenenti alla criminalità organizzata che, a quanto pare, non gradivano quei luoghi e la serietà dei poliziotti penitenziari (quasi tutti sardi e non graditi ai siciliani e ai campani). Ci furono alti e bassi sull’efficacia dell’articolo 41 bis della legge 354/75. Molti ricorsi, qualche ripensamento, molte schermaglie processuali ma, infine, quell’articolo divenne definitivamente Legge. Nel 2009, in pieno governo Berlusconi (che governò dal 29 aprile 2008 al 23 dicembre 2012) dove Angelino Alfano era Ministro della Giustizia sino al 27/7/2011, sostituito successivamente da Nitto Francesco Palma, il Presidente della Repubblica promulgò una Legge: la N. 94 del 15 luglio 2009. La legge prevedeva che “i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari”. Questa legge la votò in massa la maggioranza di centrodestra di quel governo con i soli voti contrari dell’opposizione. Era una legge molto dura e chiara: i terroristi devono rimanere in un circuito speciale e non possono avere nessun contatto con altri detenuti e devono, preferibilmente essere collocati in aree insulari. Facciamo un piccolo passo indietro: il secondo governo Berlusconi, che rimase in carica dal 10 giugno 2001 al 23 aprile 2005, aveva come ministro della Giustizia Roberto Castelli, della Lega Nord e come Ministro dell’interno prima Claudio Scajola fino al 3 luglio 2002 e, successivamente, il sardo Giuseppe Pisanu. Questo governo si occupò, tra le altre cose, anche del piano carceri e decise per la costruzione di quattro nuovi istituti penitenziari in Sardegna. Furono scelte le aree (tutte fuori dalle città) e vennero appaltati i lavori che, come sempre accade, durarono molti anni. A seguito della famosa legge del 2009 venne dato incarico alle ditte appaltatrici del carcere di Sassari e Cagliari di predisporre, con nuovo progetto, una nuova sezione destinata ai detenuti che sarebbero stati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41 bis. Nel mentre, ci si rendeva conto che i nuovi istituti erano, in realtà, sovradimensionati per le esigenza della Sardegna che ha, per inciso, una bassissima percentuale criminale e i detenuti sardi non superano, da anni, le 800 unità. Dovendo garantire la dignità a chi in carcere ci finisce e non deve, nella maniera più assoluta, essere ammassato come in un pollaio in celle umide e malsane, la soluzione dei nuovi istituti era pertanto obbligata. Con un’altra considerazione lungimirante: istituti sicuri, molto sicuri e tecnologicamente avanzati non potevano essere utilizzati solo per detenuti comuni. Apparve pertanto utile che molti posti letto – quindi molte sezioni – fossero dedicate all’alta sicurezza, compresi i detenuti imputati o condannati per terrorismo religioso. Ed eccolo il presunto “terrorista islamico” (molti di essi, lo ricordo sono solo imputati) che viene inserito nel circuito di alta sicurezza delle carceri sardi dove oltre ad un trattamento assolutamente dignitoso, assicura al cittadino italiano la certezza che egli sarà ben custodito, osservato in un luogo sicuro e da gente attentamente formata e specializzata per farlo. Il popolo voleva che si buttasse la chiave: queste sezioni con quei poliziotti penitenziari sono state costruite con questo scopo. Scoppia però la polemica di questi giorni. Se ne scrive sui giornali e il Deputato Pili ne approfitta per smuovere le acque dimenticandosi, come sempre, di aver fatto parte della maggioranza che sosteneva i vari Governi Berlusconi, di aver votato tutte le leggi, tutti gli ordini del giorno e tutte le proposte ministeriali. L’Onorevole Pili ha fortemente voluto il carcere duro, ha fortemente voluto le nuove carceri in Sardegna, dignitose e sicure, ha fortemente voluto che si costituissero i circuiti per i detenuti pericolosi e ha fortemente voluto che questi venissero inviati nei luoghi preferibilmente “insulari”. Dovrebbe esserne fiero: ha davvero mantenuto ciò che aveva promesso: certezza della pena, sicurezza, isolamento dei criminali. Ed invece si è montata una polemica completamente fuorviante che non racconta la verità. Passiamo al terzo personaggio non protagonista della serata: la polizia penitenziaria. Dobbiamo essere orgogliosi di avere un corpo di polizia con una specializzazione senza eguali in Europa. Sono loro che mantengono alta la governance degli istituti penitenziari, sono loro che, quotidianamente, garantiscono la nostra sicurezza: e credetemi, c’è da starne assolutamente sicuri. Per quale stranissimo motivo i presunti terroristi non devono stare in Sardegna? Se uno decide, con legge e regolamenti, che la Sardegna, in quanto isola e in quanto non contaminabile a certa delinquenza, deve avere delle strutture penitenziarie in grado di garantire la sicurezza per tutto il paese dov’è il problema? Bene farebbe Pili a ringraziare se stesso, i suoi governi e la Polizia Penitenziaria che garantisce tutto questo. Sarei personalmente molto preoccupato di vedere reclusi i presunti terroristi in alcuni istituti della penisola, assolutamente insicuri e a grandissimo rischio di evasione. La polizia penitenziaria che, ricordo, ha anche versato del sangue innocente nel corso degli anni, ha tutti gli strumenti e l’intelligence per monitorare il fenomeno della radicalizzazione negli istituti penitenziari ed è un monitoraggio che si fa, con professionalità e spirito di abnegazione in silenzio, ma con serietà e passione. Quando varco le soglie di un penitenziario e mi viene incontro una divisa blu, un direttore, un educatore, un operatore di quel mondo, mi sento subito al sicuro. Sono loro che garantiscono la vita quotidiana di tutti noi. Non dobbiamo avere paura dei detenuti che sono controllati con professionalità dalla polizia penitenziaria all’interno degli istituti penitenziari italiani. Forse, dovremmo stare più attenti a ciò che ci circonda nel nostro recinto sociale. Ma questa è, chiaramente un’altra storia.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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