San Francesco è l’icona della mia infanzia. Era il frate che parlava ai lupi e agli uccelli. Era, soprattutto, quello che laudava il Signore con il cantico delle creature. E’ un santo complesso, difficile da seguire, uno che lasciava tutti i suoi averi per vivere una vita in povertà e solitudine non poteva certo diventare un modello nell’edonismo reganiano imperante negli anni ottanta e nel mondo delle olgettine di berlusconiana memoria. C’è stata, probabilmente grazie a Papa Bergoglio che ha scelto proprio il suo nome per il pontificato, un sua riscoperta. Si prova a scavare meglio tra le parole dell’uomo che è stato definito il “giullare di Dio” in quanto Francesco d’Assisi, oltre a scrivere la poesia ecologista su sorella terra e frate foco, ha anche lasciato le sue regole che i frati minori dovrebbero seguire. Certo, regole scritte in pieno medio evo ma i Vangeli che ogni buon cristiano deve provare a replicare nelle opere e nelle azioni, sono ben più antichi. Tra le regole di Francesco (sono arrivate a noi la regola bollata e non bollata, entrambe fonti ufficiali del Santo di Assisi) vi è quella che dice :«Chiunque verrà da essi (i frati ndr.), amico o nemico, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà». San Francesco non si pone quindi il problema di chi ha davanti, ma afferma esplicitamente, (oggi si direbbe senza se e senza ma) che chiunque debba essere “ricevuto” e aggiunge anche con bontà. Un’altra regola (la XIV, per l’esattezza) parafrasando il Vangelo di Luca ricorda che i frati debbano «dare a chiunque chiede, e a chi toglie il loro non lo richiedano». Certo, sono regole forti e datate e sono legate all’ordine francescano. Sono anche principi che sono buoni solo per chi crede e segue San Francesco. Può essere. Però, se così fosse mai mi aspetterei da un francescano dei “distinguo” su chi debba essere ricevuto con bontà. Per un francescano è facilissimo: tutti. Si parla in questi giorni (e la polemica è molto forte, tanto che ha superato i confini regionali) della sortita del Vescovo di Sassari sull’accoglienza e su chi aiutare tra i bisognosi. Mons. Atzei è un sacerdote ed è anche francescano. E’ un uomo, dunque, che conosce e applica le regole volute da San Francesco. Non applicarle o essere contro quello che, per esempio, predica il papa, sarebbe davvero in grande contraddizione. San Francesco è l’icona della mia infanzia. E’ colui che esorta i frati a non mostrarsi tristi all’esterno e «oscuri in faccia come gli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore e giocondi e garbatamente allegri». San Francesco ci ricorda che occorre seguire l’umiltà e la povertà e rammenta ai frati che «devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada». (Regola IX) Tutto un altro mondo quello dipinto dal Santo, verrebbe da dire. Certo, tutto un altro mondo, che chi dovrebbe attuare seguendo le regole spesso dimentica.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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