Già mi immagino che Renzi dirà di essere stato frainteso. O manderà qualcuno a dirlo. In fondo un cinguettio è una cosa così sintetica, fatta di umore più che di sostanza, che non puoi pretendere che uno fatto a presidente del consiglio dei ministri, che vorrebbe dire capo del governo di una nazione piuttosto importante come l’Italia, davvero dica così, al volo, su twitter, che la continuità territoriale sta funzionando bene in una parte piuttosto ampia del territorio nazionale (nonostante tutto) che è la Sardegna. Dite che l’ha detto davvero, che ancora non l’ha smentito? E vabbé, gli sarà scappato. O l’avranno informato male. In fondo non è neppure il secolo scorso che una ministra della Pubblica istruzione fece un po’ di confusione a proposito di un tunnel chilometrico per farci viaggiare i neutrini, o che un’altra ministra in un altro governo disse che i giovani disoccupati italiani sono tali perché un po’ mammoni e un po’ schizzinosi (in inglese, quest’ultimo, per fare vedere che lei lo sa, l’inglese). Capita. In fondo i governanti hanno una organizzazione burocratica intorno a loro. E se questo personale funziona male che colpa ne hanno? Come quella che ebbe qualche titubanza tra Salvatore e Sebastiano Satta. Quante storie. Tutta colpa dell’ufficio stampa. A meno che Renzi non si sia direttamente rivolto alla persona istituzionalmente meglio informata: cioè il presidente della Regione. Ma non credo che Pigliaru possa avergli detto che la continuità territoriale da noi funziona. Ne sarei stupito, figuriamoci, anche lui viaggia. O ci tenta, come tutti i sardi. Ora, escludendo l’ipotesi Pigliaru, può quindi essere che Matteo Renzi sia stato informato male dalla sua struttura organizzativa, o che si sia espresso male, perché certamente affermare che in Sardegna la continuità territoriale funziona bene è quanto meno inesatto. Molti sosterrebbero che più che altro è una coglionata. Ma io non sono di quelli che argomentano con parole da trivio e che esprimono pareri tagliati con l’accetta. Ecco, allora: per non essere rimbeccato dai numerosi e rispettabilissimi renziani di cui la nostra isola pullula, qualcuno dei quali stimo davvero, mi limito a dire che l’affermazione, se non è stata fraintesa, è inesatta. La continuità territoriale in Sardegna non funziona bene. Anzi, non funziona del tutto perché non esiste. E il fatto che il presidente del consiglio dica cose così basta a noi testata giornalistica sarda per eleggerlo (lui ci è abituato ad essere eletto senza elezioni) personaggio del giorno. Ma io vorrei affiancargli quelli che si sono affrettati a lanciare ululati, dopo questa sua uscita. A piangere come prefiche, gratis, credo: al contrario delle vere prefiche che invece ricevono compensi dai parenti del defunto, e maledire come corifei tragici. In particolare Mauro Pili e Ugo Cappellaci. La loro irruenza a base di “vergogna!” e “sono tutte bufale”, mi ricorda un momento importante della storia di Sorso. Anni fa, prima della riforma che decretò l’elezione diretta dei sindaci da parte del popolo, accadeva che in seguito a una crisi amministrativa un sindaco venisse fatto fuori e che letteralmente da un giorno all’altro, senza nuove elezioni, si trovasse sui banchi del consiglio. Così accadde a Sorso. E questo sindaco divenuto consigliere, per di più anche di cattivo umore per il recente capitombolo, quel giorno si lanciò in una violenta filippica contro le condizioni igieniche del paese, accusando il nuovo sindaco di ogni incuria e incapacità amministrativa e giudicandolo personalmente responsabile dei grossi topi che nelle vie centrali sbucavano dalle fogne per scorrazzare indisturbati. Sino a quando il nuovo primo cittadino, realizzando che sino al giorno prima sindaco era quell’altro, interruppe cortese l’oratore: “Cazzu, ma cand’eri sindagu tu, cos’erano chissi sorighi, cincillà?”. Ecco, lo chiedo rispettosamente a voi, ex presidenti della Regione Pili e Cappellacci. Ma quando eravate sindaci voi, che cos’erano quei topi, cincillà? Vi chiedo cioè se riteniate la questione della continuità territoriale della Sardegna una faccenda di finanziamenti una volta sì e una volta no, una storia che i “soldi non ce li dobbiamo mettere noi ma voi, non la Regione ma lo Stato e l’Europa”. E i soldi alla Regione chi li dà? Forse le tasse dei sardi? E se anche fosse, non sono tasse la cui riscossione il governo nazionale ha comunque delegato alle amministrazioni decentrate tra le quali le Regioni? Davvero pensate che quando c’eravate voi la Sardegna fosse collegata meglio al resto del mondo? Il fatto è che la continuità territoriale, un diritto sancito dalla Costituzione, non è un fallimento di Renzi, di Pigliaru, di Soru, di Cappellacci o di Pili. E’ un fallimento di tutta la classe politica sarda. Forse di tutta la classe dirigente sarda che non è riuscita a mettere la testa fuori dalla melma delle rimesse pubbliche prive di strategia, di Ryanair e Alitalia, dello sfruttare a scopi demagogici l’incazzatura di un popolo isolato in un’isola come fossimo ai tempi in cui il mare ancora creava diversità antropologiche, perché varcarlo non era per tutti. Abbiamo una classe politica piccola piccola, come piccole sono le aspirazioni, l’ideologia e gli obiettivi di cui questi politici sono espressione. Non un’idea, una analisi vera, non l’affermazione a muso duro, davvero duro, dei due obiettivi che darebbero un senso alle velleità autonomistiche: la continuità territoriale e l’abbattimento dei costi dell’energia. Soltanto accuse reciproche, in una sterile e irritante contrapposizione che copre una oggettiva trasversalità nella gestione del poco che arriva. Non c’è niente di peggio che sentire un amministratore o un governante prendersela con chi lo ha preceduto o con chi è venuto dopo di lui. Soprattutto quando si parli di questioni di fondo. Perché l’idea è che quello non le consideri questioni vitali, ma robetta sulla quale fare teatrino politico per i poveri. Come per esempio la questione dei nuovi vagoni ferroviari della linea Sud-Nord della Sardegna. Il nuovo treno veloce non funziona, il pendolino è stato ritirato, sui binari in certe giornate sono tornati i vecchi vagoni. E l’assessore ai Trasporti Deiana si difende: “Quei treni non li ho comprati io”. Ma è modo di ragionare questo? Vedere il fallimento di una potenziale rivoluzione del trasporto interno della nostra isola non come un fatto epocale che deve coinvolgere tutti i nostri rappresentanti, ma come un banale motivo di polemica tra giunte che si succedono, tra correnti diverse, tra uomini con piccoli conti da regolare. E sperate che gli elettori, se pensate a loro, facciano differenze? Vi coinvolgeranno tutti in un giudizio generale di incapacità. Di quelli che vi fanno offendere, come per altre ragioni qualcuno si è offeso con Piercamillo Davigo che “generalizzava un po’ troppo”. Ma credete che davvero la gente pensi che i topi possano diventare cincillà?
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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