L’articolo della docente Franca Puggioni sulla Nuova Sardegna di oggi mi ha fatto riflettere così fulmineamente e così intensamente sulla mia Sassari e sulla violenza nascosta nelle pieghe umide dei suoi miti, che eleggo terrificante e doloroso personaggio del giorno Simone Niort, il ragazzino che ha quasi ammazzato la sua compagna a colpi di spranga.
Quali miti? Il giovane Niort veniva appunto giudicato un “personaggio”, prima di questo fatto sanguinoso: un fisico da palestra e una faccia da social. Lui e la sua ferocia discendono simbolicamente da una Sassari in cartolina, la Sassari da ridere, da quei quartieri che regalavano alla cronaca e alla letteratura personaggi buffi da commentare con tutta la superiorità popolareggiante del borghese che annusa divertito il volgo, bene attento a non sporcarsi le scarpe. La Sassari delle “macchiette” frequentate da poeti, drammaturghi, scrittori e caricaturisti talvolta anche bravi, ma che spesso fingevano di dimenticare tutta la mostruosità insita nella miseria, nei sottani sovraffollati , nel vino che serviva da droga. Una Sassari nella quale se il marito ubriaco tornando a casa quasi ammazzava di botte la moglie, non faceva notizia se proprio la donna non ci lasciava la pelle. E ve lo dice uno che agli inizi degli anni Settanta faceva il cronista di giudiziaria. Ero un giovane comunista e per formazione politica e culturale ci vedevo molta “notizia” in quelle udienze di pretura e di tribunale che portavano a galla emarginazione, povertà, sottoproletariato, quartieri ghetto, violenza contro le donne e contro i bambini, incesti consumati sotto la dittatura domestica del maschio. Ma ogni giorno era una fatica riuscire a dare a tutta questa roba un ruolo decente nella gerarchia delle pagine. Interessava maggiormente la criminalità classica: furto, rapina, omicidio per rapina, omicidio passionale e roba così. Gli omicidi “sardi” da muretto erano poi il top. Non è durata molto, a dire il vero. Già dalla metà dei Settanta la vecchia guardia del giornale, quella che comandava, si è dovuta arrendere ai cronistini che rappresentavano la città più nuova e cosciente. Andavamo a intervistare i dirigenti politici degli organismi di quartiere e i sociologi dell’università, oltre che la gente di porta in porta, per cercare di capire la vera Sassari. E ora la professoressa Puggioni ha colto il vero senso del problema quando parla di un mondo di adolescenti che provengono “da situazioni familiari di estremo degrado, nelle quali la violenza nelle relazioni padre/madre/, genitori/figli è l’unica modalità conosciuta”. Era così anche allora. La differenza è che adesso fa notizia, meno male. Approfittiamone, allora, di questa nostra più diffusa coscienza per sfuggire all’indignazione da bar o meglio da Facebook, a base – come scrive Franca Puggioni – di inasprimento delle pene, di trattare l’arrestato come lui ha trattato la sua vittima, di castrazione chimica e altra roba così. Pensiamo a questo mondo che ha generato Niort, ma facciamolo senza la violenza che lo ha plasmato. Pensiamo a quei ragazzini “razzisti, omofobi e violenti” e anche a quelle ragazzine descritte nell’articolo della docente “che vivono nella speranza di essere la prescelta del bullo di turno”, per le quali “l’idea di una relazione rispettosa, civile, matura è una faccenda per alieni”. Le legge c’è e bisogna rispettarla. Ma ha ragione Franca Puggioni quando scrive che se anche condannassero il diciannovenne Niort a dieci anni e li facesse tutti, “uscirebbe di galera rafforzato nella sua visione violenta del mondo e avrebbe 29 anni, e una vita davanti per fare altro danno”. Cosa vuol dire? Semplicemente che condannarlo sarà probabilmente giusto e necessario. Ma non pensiate con questo di avere risolto il problema. E ho conosciuto molti giudici, gente onesta e giusta, che proprio mentre leggevano il dispositivo della sentenza pensavano: “Il problema resta”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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