Quell’indifferenza l’abbiamo trovata varie volte, ultimamente anche fra le notizie di Sara di Pietrantonio, la ragazza bruciata viva che chiedeva aiuto agli automobilisti e nessuno dei quali si era fermato. Ne abbiamo avuto prova in centinaia di comunicati relativi a violenze sessuali, rapine, aggressioni e anche di incidenti, in occasione dei quali gruppi di persone sono rimaste lì a guardare impotenti e incapaci di prendere iniziative. Ovviamente noi, dal divano di casa o dalla poltroncina davanti al computer, sapevamo benissimo cosa fare per assicurare un happy end alla vittima di turno. Salvo poi, in caso di black out, non chiamare nemmeno l’Enel perché “tanto qualcuno del nostro condominio avrà già avvisato”.
Alt, fermi. Non siate frettolosi nel trarre conclusioni e, se proprio dovete, fatelo dopo essere arrivati all’ultima riga dell’articolo.
Esattamente come voi non approvo né giustifico l’indifferenza e nemmeno mi tiro fuori dal novero di chi si è scadalizzato davanti alla noncuranza di quelli che non sono intervenuti a fermare quel pestaggio che tutti abbiamo visto nel video. Ma, oltre al disinteresse, che è sempre da condannare, ci sono delle altre ragioni che paralizzano le gambe degli spettatori e li rendono afoni.
Esistono infatti dei meccanismi automatici che entrano in gioco, specie in un contesto allargato come quello di un gruppo. Uno di questi è la diluizione della responsabilità personale, quella dell’esempio del black out per intenderci. – Se non lo faccio io, lo farà qualcun altro –
Il gruppo suggerisce anche la spinta all’azione, oltretutto: guardarsi intorno e vedere che chi è accanto a noi resta impassibile non fa altro che acuire la perdita di consapevolezza e dimostra l’effetto della piccola collettività radunata come fonte di informazioni circa il comportamento da tenere. Il pubblico di una violenza cerca indizi osservando il comportamento degli altri per determinare se il proprio intervento sarà risolutivo. Un cane che si morde la coda, praticamente; perché la nostra passività sarà un segnale per gli altri e la loro lo sarà per noi. Il risultato è l’inerzia dell’ intero gruppo.
Un ulteriore aspetto da non sottovalutare è l’inibizione sociale da cui discende la struttura, difficile da scardinare, del “fatti gli affari tuoi” anche per il timore di un intervento maldestro, fuori luogo e quindi da evitare.
Ecco ora, anche con la consapevolezza che molti degli spettatori sono vittima di questa reatività semiautomatica, quando ci troviamo davanti a un’emergenza tiriamo fuori il cellulare per chiamare il 113. E non per filmare la scena.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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