Va di moda dichiararsi prigioniero politico. Lo facevano, alla fine degli anni settanta, gli esponenti delle Brigate rosse o i terroristi dell’estrema destra. La loro battaglia terribile e perdente era contro uno Stato che non riconoscevano. I loro reati erano però difficili da annoverare tra quelli “squisitamente politici”: si trattava, infatti, di rapine alle banche, “gambizzazioni” a giornalisti, responsabili di fabbrica, politici, magistrati e, purtroppo, molti omicidi. Negli anni i vari prigionieri politici scesero a patti con lo Stato che combattevano e dalla mediazione nacque l’area omogenea nel carcere di Rebibbia dove, soprattutto i brigatisti, poterono ottenere di stare insieme e dedicarsi ad alcuni progetti. Il carcere “ammorbidisce”. Me lo diceva un sequestratore di persona che all’inizio pareva uomo “balente” e tutto di un pezzo: “Non credevo che il carcere ti togliesse la voglia di vivere”. Il personaggio del giorno, oggi è indubbiamente Marcello Dell’Utri che si è dichiarato, in un’intervista rilasciata a David Parenzo, giornalista de “la 7”, un “prigioniero politico”. Dell’Utri, per chi non lo ricorda, era il braccio destro di Silvio Berlusconi, responsabile di Publitalia e condannato, in maniera definitiva, a sette anni di carcere per “concorso esterno a cosa nostra” e attualmente detenuto presso il carcere romano di Rebibbia. Si dichiara prigioniero politico perché ritiene di essere innocente e ritiene, soprattutto, che i giudici, così come con Contrada, abbiano sbagliato clamorosamente ed entrambi siano stati perseguitati per un reato che, secondo i giudici di Strasburgo, era oggetto di troppe oscillazioni giurisprudenziali, al punto che gli imputati, all’epoca dei fatti non potessero rendersi conto dell’illiceità della loro condotta. Sul punto suggerisco la lettura della illuminante nota di Antonio Ingroia sul Fatto quotidiano oggi in edicola che ritiene – giustamente – stupefacente la sentenza della Corte suprema Europea in quanto è “palesemente assurdo affermare che un alto funzionario dello Stato possa essere inconsapevole dell’illiceità del fatto di tradire lo Stato per trescare con la mafia”. Si potrebbe dire anche per un ex senatore della Repubblica condannato dopo tre gradi di giudizio e con delle prove che hanno retto dal primo processo alla Cassazione. A quella condanna, occorre ricordarlo, non si è giunti per un procedimento semplicemente indiziario ma (e lo ricorda ancora Ingroia) sono stati circa quaranta i giudici che tra giudici per le indagini preliminari, giudici del Tribunale della Libertà di Palermo, giudici della Cassazione in sede cautelare, giudici del tribunale di primo grado di Palermo, giudici della corte d’appello di Palermo e ancora giudici della Cassazione, hanno riconosciuto prove “granitiche di colpevolezza sia per Contrada che per Dell’Utri. Adesso Marcello Dell’Utri afferma di essere malato e ritiene che la “cardiopatia è incompatibile con la detenzione” sorvolando sul fatto che dovranno essere i medici a dichiararlo e il Tribunale di Sorveglianza a decidere sul suo eventuale differimento della pena. Un uomo che è stato Senatore della Repubblica dovrebbe conoscere le leggi di uno Stat che ha servito per anni e che oggi disconosce. Non è necessario un processo di redenzione per Marcello Dell’Utri nonostante gli operatori penitenziari si prodigheranno per far comprendere al detenuto dell’Utri che dichiararsi “prigionieri politici” non aiuta e, diciamola tutta: non va più di moda in un paese dove dai tempi del fascismo non c’è più nessuno condannato per aver manifestato il proprio credo ideologico a meno che le prove assunte nei tribunali di gambizzazioni, omicidi, rapine, concorsi con i mafiosi, evasioni fiscali e bancarotte fraudolente non siano da annoverare come reati politici. Le prove però dicono un’altra cosa: Marcello Dell’Utri non è un prigioniero politico, come non lo erano Curcio, Franceschini Ognibene, Peci, Tuti e tanti altri. In uno Stato di diritto che garantisce tre gradi di giudizio sarebbe davvero bizzarro dichiararsi “prigionieri politici”.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
3 ottobre 2013: la strage di Lampedusa (di Giampaolo Cassitta)
Il prete e il povero (di Cosimo Filigheddu)
I giornali di oggi (di Cosimo Filigheddu)
La mia ora di libertà (di Giampaolo Cassitta)
A vent’anni si è stupidi davvero. A 80 no. (di giampaolo Cassitta)
La musica ai tempi del corona virus: innocenti evasioni per l’anno che verrà. (di Giampaolo Cassitta)
Guarderò Sanremo. E allora? (di Giampaolo Cassitta)
Quel gran genio di Lucio Battisti (di Giampaolo Cassitta)
Capri d’agosto (di Roberta Pietrasanta)
Il caporalato, il caporale e i protettori (di Mimmia Fresu)
Marshmallow alla dopamina (di Rossella Dettori)
377 paesi vivibili (di Roberto Virdis)
Per i capelli che portiam (di Mimmia Fresu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 17.697 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design