E quindi hanno fatto questo rito purificatore con croci, tonache e preti e fedeli dopo un gay pride in non so più quale città, mi sembra Milano. E penso alla mia, di città, che tutto sommato è abbastanza tollerante ma con un clero sul quale alle volte mi arrivano voci contrastanti. Oh, non è che sia troppo informato perché a dirla tutta è un ambiente che non frequento troppo, ma mi sembra di capire che insieme a preti davvero in gamba anche dal mio punto di vista di ateo bestemmiatore da bettola, ce ne siano altri che magari pure qui a Sassari farebbero volentieri un rito purificatore dopo un gay pride. In sostanza, se ho capito bene, ci sarebbero preti che gli metterei in mano il portafoglio e anche qualche confidenza personale e altri che se nell’armadio gli trovano il camicione e il cappuccio del Ku Klux Klan non me ne stupirei più di tanto. Però anche con quelli di cui si parla bene persino nel mio circolo “Nostra Patria E’ Il Mondo Intero Nostra Legge E’ La Libertà” , quelli che non fanno smorfiette tipo ahsepotessiparlare quando gli nomini Bergoglio, anche con quelli sono un po’ diffidente. Credo dipenda tutto da uno che ne ho conosciuto molti anni fa. Cioè, la prima conoscenza risale ad ancora più anni fa, quando ero un ragazzo e morì all’improvviso di cuore, neppure tanto anziano, un mio zio. In famiglia si sospettava che fosse il figlio preferito di nonno, anche se lui diceva che erano tutti uguali. Nonno pochi anni prima aveva perso la moglie e quindi in quell’inizio di notte in cui glielo dissero, del figlio morto, era solo. Gli altri figli e i nipoti, non li vedeva neppure intorno a lui. Soltanto la moglie avrebbe potuto capire. E stava lì seduto sulla poltroncina di vimini, magro e secco, con gli occhi fissi sul televisore spento, il mezzo toscano anche quello spento tra denti, e ogni tanto si levava il sigaro di bocca e si volgeva a uno di noi per spiegargli così, senza lamenti, con tutta la freddezza di un’informazione, di un dato di fatto -Eu, disthia assè morthu, no eddu. Squillò il campanello e apparve il prete. Cioè, che era un prete lo capii perché lo conoscevo di vista. Era vestito con un giaccone a vento sopra un maglione e dei pantaloni sformati. Era già a letto quando gli avevano detto di mio zio ed era uscito dalla canonica vestendosi con quello che aveva trovato. Si guardò intorno, guardò nonno che continuava a fissare il televisore spento, prese una seggiola, la avvicinò alla poltroncina e si sedette accanto a nonno, che teneva la mani serrate sui braccioli di vimini. E il prete, senza aprire bocca, posò una mano sopra la sua. Nonno si riscosse, guardò la mano, la seguì lentamente con lo sguardo sino al braccio e poi al viso, accorgendosi per la prima volta di quella presenza seduta al suo fianco. E con decisa educazione liberò la mano dalla stretta e se la portò sul grembo, spostandosi lievemente sulla poltroncina in maniera tale da stare il più lontano possibile dal consolatore. Il prete capì, si alzò discreto, salutò tutti con un gesto del capo, e tornò in canonica. Nonno lo osservò allontanarsi e quando fu sicuro che era andato via chiese a mia madre -E ca era chissu? -Oh ba’, e no l’ai ricuniscidu a don Taldeitali? -Ah, eddu era? E aggiunse a giustificare la sua sbadataggine -Cazzu, visthudu a masciu ma parò. Il fatto narrato avveniva a Sassari. Quindi non vi dovete stupire per l’esclamazione di nonno, che non aveva intenti sacrileghi o peggio volgari, ma equivaleva a un “accidenti” o “perbacco”, né per il fatto che gli astanti, anche con le lacrime nel cuore, presero a uscire a turno dalla stanza per ridere con più tranquillità. Nella generale consapevolezza che il figlio morto sarebbe stato il primo a pisciarsi dalle risate. Comunque io questo don Taldeitali, in memoria di questo fatto che mi era rimasto impresso, lo trattavo con un certa simpatia se lo trovavo per strada. Un giorno, ero sposato da poco, lo incrociai mentre ero con mia moglie. Gliela presentai, scherzò sul fatto che non c’era pericolo di incontrarci in chiesa, gli dissi che forse dipendeva dal fatto che noi eravamo di un’altra parrocchia, lui rispose che era certo che neppure il nostro parroco ci vedesse in chiesa perché noi eravamo proprio di un’ “altra” parrocchia. Insomma, la si buttò a ridere e con mio grande stupore mia moglie all’improvviso lo invitò a cena. Chissà perché quel prete piaceva a entrambi. Durante quella cena parlammo di molte cose. Ci portò in certi momenti a scrutarci dentro, a confidargli cose di cui parlavamo solo tra noi due, si comportò da confessore senza confessarci, lievemente, senza parlare di Dio e di sacramenti e di santi, dicendo che apprezzava la nostra laicità perché secondo lui eravamo onesti. Mi accadde altre volte di chiacchierarci e alla fine mi dissi esordendo come mio nonno ma con un finale diverso -Cazzo, ma vedi che ho dovuto aspettare a compiere trent’anni per trovare un prete come si tocca. Avevo quindi questa convinzione quando con don Taldeitali ci trovammo (lo ricordo ancora, tanto la cosa mi lasciò scioccato), in via Dei Mille, mentre correvo al giornale in via Porcellana. Due rapide chiacchiere interrotte da un immigrato che tentò di vendermi qualcosa. Era uno dei primi, non erano ancora tempi in cui la globalizzazione e le ondate migratorie avessero già tirato fuori gli aspetti peggiori della nostra civiltà, compreso il razzismo latente. Il venditore era insistente e io avevo fretta di andare al lavoro. Quindi salutai il prete ma lui mi bloccò -Ecco, vedi: questo straniero, questo negro entra pesantemente nella nostra vita impedendoci persino di conversare per la strada. Diventai un sasso. Ebbi persino paura. Sembrava dottor Jekyll e mister Hyde. Ma non il libro o uno di quei film cazzoni dove la trasformazione avviene con urlacci e peli e zanne. Sembrava il Mister Hyde del film di Fleming, quello dove Spencer Tracy si trasforma soltanto con l’espressione del viso, rivelando il male che era già tutto dentro di lui e nessuno se n’era accorto. E mister Taldeitali continuò -Perché ora sono pochi, ma diventeranno molti. E non ci sarà più posto per noi, per la nostra cultura, per la nostra religione. E allora pensai all’ordine al quale apparteneva, sentii il lamento antico delle donne appese al gancio per farle confessare, ai processi agli eretici, ai roghi. Pensai che mister Taldeitali portava dentro di sé questo passato che ogni tanto veniva fuori quando un ambulante straniero lo innervosiva. Non lo frequentai più, naturalmente, e la mia diffidenza nei confronti della categoria si consolidò. Cosa volete, alle volte certe sensazioni ti condizionano più di mille valutazioni razionali. Io razionalmente lo so che anche qui c’è un mucchio di preti in gamba. Ne conosco anche. Ma non ho voglia di frequentarli. Pensateci voi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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