E come faccio a dire che mi fa paura? Io amo quello che tu chiami “il Ponte dei Suicidi”. Lo amo perché lo conosco da una vita e ci ho sempre visto passare la vita e non la morte. Dici che quelle ringhiere con il fascio littorio fanno venire voglia di scavalcarle e di volare verso la fine del tormento. Dici che intorno bisogna costruirgli un bozzolo per catturare gli infelici di un attimo o di una vita, per tenerli fuori dalla morte come le zanzariere alle finestre. Non so, forse hai ragione, forse qualche vita si salverebbe. O semplicemente andrebbero a morire a altrove? Certo che a confrontare il numero di quelli che sono volati giù dai viadotti intorno a Sassari, forse la brutta fama del Rosello scomparirebbe. Ma un vecchio ponte come quello, così centrale, fa più notizia. Suscita più passioni. Invita più persone a insultare su Facebook chi ha dubbi sull’opportunità di queste barriere e a dargli dell'”assassino”, così, leggermente, come una parola qualsiasi. Sai, il livore di chi propugna quelle reti mi ricorda in quanto a stile quello di chi mi dice che gli immigrati se ci tengo tanto me li posso portare a casa mia. E istintivamente ne diffido. Magari poi mi sbaglio, però quanti ponti monumentali ci sono in Italia e nel mondo, e con ringhiere o spallette alte quanto le nostre ringhiere, usati anch’essi di tanto in tanto per morire? Sono innumerevoli, ritengo. Certo, il suicidio, è strana cosa. Alle volte è pervicace. Nei miei tantissimi anni di un lavoro che consisteva in gran parte nel farsi i cazzi più amari degli altri, ne ho visto di suicidi. Alle volte irrefrenabili, compiuti nei modi più terribili che non sto a descriverti e tuttavia preceduti nella loro raccapricciante esecuzione da parole sognanti e dolci verso la liberazione che di lì a poco ci sarebbe stata. Pensa quanto soffriva quella mente che sbrigativamente diciamo “malata” perché ha avuto la sfortuna di subire un rovescio che l’ha resa diversa dalla nostra così “sana” e felice. Ho visto persone che sono riuscite ad ammazzarsi al terzo o al quarto tentativo. Ho visto persone che hanno tentato di simulare una morte accidentale perché amavano tanto quelli che lasciavano da volergli evitare un brutto ricordo. Ho visto persone che hanno deciso di morire anche se erano circondate di amore ricambiato. E volte, invece, è cosa di un momento. Io stesso conosco qualcuna e qualcuno che fortuitamente e fortunatamente hanno superato quel momento e adesso amano la vita con la passione di chi stava per perderla. E tu dici che il Ponte di Rosello accende le grigie fantasie di quel momento? Non ti so dire. Ma chissà. Forse hai ragione. Però a me viene difficile associare alla voglia di morire l’allegria di quella vecchia campata buttata tra l’animazione del Mercato della Porta di Rosello sino a uno dei più bei quartieri operai d’Italia. Già, come tutti noi sassaresi, magari ti sei dimenticato che abbiamo un magnifico centro storico che stiamo mandando in rovina e un bellissimo rione che si chiamiamo “Il Monte” e che nella sua semplicità architettonica e urbanistica è uno dei più sereni e vivibili. E vuoi rovinare questa allegria creando la leggenda di un “Ponte dei suicidi”? Non alimentare questa suggestione, te ne prego. Una delle prime cose che ho imparato nelle lezioni di psicologia empirica a cui i giornalisti sono sottoposti dal primo all’ultimo giorno di mestiere, è che i potenziali suicidi sono incoraggiati, oltre che dalle intime cause che gli succhiano irrimediabilmente la voglia di vivere, anche da due elementi esterni, come dire, “sociali”: uno è l’emulazione, l’altro è la notorietà del loro gesto unita alla suggestione del luogo si compie. Ci sono certi luoghi che nell’immaginario collettivo diventano un sorta di cimitero nel quale chi vuole morire si reca in un naturale richiamo, per sdraiarsi sulla tomba e chiudere gli occhi. La prima, l’emulazione, dovrebbe consigliarci di parlare quanto meno è possibile di questo argomento, L’altra, la suggestione, dovrebbe indurci a non creare simili macabri luoghi. E’ normale che un ponte, oltre a unire gioiosamente due gioiosi pezzi di città, possa servire anche ad altro. Ma non è colpa sua. Non facciamone una leggenda nera.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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