Io adesso non vorrei tirare fuori quella solita palla del saggio che indica la luna e dello stolto che guarda il dito perché mi darei la zappa sui piedi in questo mio atto di accusa contro i luoghi comuni. E’ infatti una delle citazioni preferite da certi politici, che la dicono ispirati nei talk, convinti che sia la prima volta che questa perla viene distribuiti ai porci stravaccati davanti al televisore; ed è tra le più ricorrenti nei colti commenti facebook di chi commenta a ogni costo anche se alla fine non sa cosa accidenti dire. Però, insomma, davanti a una polemica feroce, per certi versi assurda, eppure così importante come quella sui vaccini, mi rende perplesso la grande attenzione riservata ai tre errori grammaticali nel video twitter di Renzi su questo argomento. Tra i quali errori un accento sbagliato su “perché”. Giusto sottolinearli, perché la sciatteria va sempre criticata, ma quando questo colto e cipiglioso rimprovero sottrae attenzione alla ciccia del messaggio, mi faccio qualche domanda. Così come, dopo avere condiviso un divertito sorriso alle prime denunce, mi hanno un po’ rotto i coglioni le ripetute rigacce rosse o blu sotto i congiuntivi improbabili dei grillini Di Battista e Di Maio, evidenziati mentre questi, che si fosse o meno d’accordo, dicevano cose di un certo peso sulla politica, l’economia e la cronaca giudiziaria italiana, argomento, quest’ultimo che spesso si accompagna ai primi due. E così, senza giustificare chi sbaglia scrivendo e parlando pubblicamente, vorrei dire che questa geremiade sui politici della prima repubblica che erano colti e non ignoranti come quelli di adesso è originale e affascinante quanto i “sono basita” della Santanchè o i “capra capra” di Sgarbi. Molti anni fa la produzione politica scritta e orale era un’infinitesima parte di quella attuale ed era molto più facile controllarla e selezionare chi dovesse accedere alla comunicazione diretta. L’approccio al grande pubblico era mediato da pochi giornalisti che intervistavano l’uomo politico o ne riportavano le dichiarazioni in forma scritta e naturalmente corretta. Non c’erano i social, con l’esposizione continua di opinioni rivolte una dopo l’altra a milioni di persone che immediatamente rispondono in un’orgia di like o di insulti; non c’erano quelle gabbie da circo equestre che sono i talk show; non c’erano i giornalisti che inseguono i politici a frotte per le strade, circondandoli con microfoni o registratori spianati come rivoltelle mentre gli stessi politici decidono se fare i cafoni supponenti e scacciare i giornalisti o rilasciare al volo dichiarazioni poco meditate in un italiano molto “discorsivo”. Più colti i vecchi politici? Leggete un po’ di aneddotica su certi comizi elettorali, che allora erano il più diffuso confronto diretto con il pubblico da parte di tutti i politici; o leggete anche, se vi capita, le trascrizioni testuali di antichi interventi parlamentari, dove accanto al pesante stile aulico-forense di certi vecchi tromboni, emergevano incontrollabili i dialettismi e le sgrammaticature di altri eletti. Anche nella prima repubblica deputati e senatori si azzuffavano con il congiuntivo come cani arrabbiati. Per cui, se in questo pezzo ho commesso errori di grammatica, fatemelo notare severi. Ma, vi prego, leggete anche che cosa ho scritto.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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