Io vorrei che il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, prima di parlare con la stessa giocosa leggerezza con la quale si affettano i ciccioli romagnoli, facesse un giro nei nostri paesi di Sardegna che tra un po’ scompariranno perché sono fatti di gente che ci muore soltanto. E non ci nasce più nessuno perché i giovani se ne sono andati. Poletti dice che non è vero che sono i giovani più in gamba a emigrare, che lui ne conosce certi che è meglio perderli che trovarli e che non è detto che quelli che restano siano delle pistole (quanto è fastidiosa, al di là dei suoi odiosi contenuti, questa settentrionalizzazione del linguaggio usata nelle dichiarazioni pubbliche); salvo poi virare su un generico politically correct dicendo che è bene che se ne vadano un po’ in giro ma che bisogna dare loro l’opportunità di tornare. E chi gliela deve dare l’opportunità? Io? Non voglio entrare nel merito della stima nei confronti di larghe fasce di governati rivelata dai lapsus freudiani di simili governanti. E non voglio neppure ridurre alla sola Sardegna questa volgarità che offende un numero sterminato di giovani italiani e le loro famiglie. Poletti, un ministro, ha trattato un doloroso problema epocale usando una battuta greve che per di più, al contrario di altre battute, non è neppure indice di una verità. Ma siccome ciascuno vede il pezzetto di storia che ha davanti, io mi chiedo come avranno accolto questa facondia ministeriale i tanti genitori della mia terra che hanno i figli lontani per triste necessità. E quanto abbiano riso i tanti giovani che si aggirano nei centri più grandi dell’isola alla ricerca di un lavoro, sbattuti tra un impiego precario, un voucher e lunghi periodi di disoccupazione, per sfuggire l’ozio assoluto e senza speranze al quale il loro paesino quasi fantasma li stava condannando. Secondo il centro programmazione della Regione ci sono oltre trenta paesi che entro pochi anni saranno totalmente abbandonati. E di 377 comuni sono 101 quelli che hanno una salute demografica precaria, 113 grave e 15 gravissima. L’Armungia di Emilio Lussu è tra quelli a salute gravissima. E sta male anche l’Ales di Antonio Gramsci, per dire quelli che evocano spiriti di storia condivisi. Io, nella mia Sassari, penso alla struggente e desolata bellezza di Monteleone Roccadoria, dove tra pochi anni ogni casa sarà uno spettro. Ma lo sa Poletti cosa sia il dolore dell’abbandono? Della famiglia, dei ricordi, ma anche del paesaggio, quello domestico, cioè le cose che abbiamo sempre avuto intorno, e quello oltre la finestra, dei vicini, delle altre case, delle montagne, dei laghi e del mare. Ma lo sa Poletti che cosa significhi strapparsi a tutto questo? Magari covando insieme i contraddittori sentimenti dello strazio di doverlo lasciare e dell’odio perché il tuo paese non ti dà il lavoro e l’assistenza che ti servirebbero a restare. Lo sanno i signori del Governo quanto questa faccenda dei voli low cost che quasi non esistono più pesi sui giovani sardi? E non su quelli che vogliono farsi il viaggio di piacere, ma su quelli che sono dovuti andare via per lavorare. Roba tipo Ryanair aveva cambiato l’abito mentale dei giovani emigrati. Bastava organizzarsi e con 20 o 30 euro tra andata e ritorno potevano tornare a casa almeno un paio di fine settimana ogni mese. Il loro non era un distacco, era vivere a cavallo di due realtà, traendo la linfa delle radici e contemporaneamente respirando l’ossigeno nuovo delle fronde. Ora gli hanno tolto anche questo. Torneranno ai vecchi tempi dell’emigrazione, quando si tornava solo a Natale e a poco a poco neanche più. Se certe misure sulla disciplina del lavoro hanno alla base questo sprezzante atteggiamento verso le persone su cui ricadono, si spiegano i fallimenti, la delusione e la diffusa sfiducia che hanno ingenerato.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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