Ho conosciuto un pastore che amava osservare il cielo, e attribuire il nome esatto alle stelle, alle costellazioni, ai pianeti. Ricordo che da piccolo osservare il cielo, e individuare l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore, o la stella polare, era una occupazione. Poi più nulla, anche io ho dimenticato dell’esistenza del cielo. Un tempo, quando non c’era la televisione e neppure i pervasivi dispositivi tecnologici, la gente passava molto del tempo a osservare il cielo. Il cielo era una sorta di immenso calendario che scandiva lo scorrere del tempo, e al quale si attribuivano molteplici auspici e significati simbolici del creato. Sorrido quando c’è, anche tra gli scienziati, chi non si convince di come le costruzioni della preistoria si basassero sulla posizione di quei meccanismi celesti. E’ normale. Siamo noi oggi che abbiamo sostituito lo scorrere del tempo reale con quello artificiale, il tramontare del sole con le lancette dell’orologio, le fasi lunari con un calendario appeso al muro. Tutto questo, mentre discorro di stelle e pianeti con il pastore, mi fa pensare a quanto siamo diventati, in un certo senso, ignoranti. È un paradosso: nel momento storico in cui la gente non è mai stata così istruita, e in cui si arriva ad accumulare anni e anni di studio, resta la sensazione di una ignoranza di ritorno che supera il nozionismo scolastico. L’istruzione resta benedetta, per carità, avercene sempre e comunque, e non basta mai. Tuttavia questo legame reciso con le stelle e il cielo, con il vento e l’andamento delle stagioni, con il germogliare delle piante e il verso degli uccelli, con il ciclo delle coltivazioni agrarie e con la competizione tra animali, mi porta a riflettere, e a credere che esiste, nella nostra vita convulsa, una progressiva tendenza alla chiusura del sapere. Una volta un contadino era certamente ignorante, ma sapeva tutto sulle stelle, sul ciclo delle stagioni, sulle piante e sugli animali selvatici, oltre a conoscere tutto sul suo lavoro. Inoltre, il contadino, che quasi sempre non sapeva leggere e scrivere, aveva un bagaglio enorme di racconti e storie da tramandare. Lo so, detto così sembra la solita nostalgia del bel mondo antico. Erano tempi duri e oscuri, per nulla piacevoli. No, quello che mi preme di dire è che si potrebbe tornare ad avere un rapporto con la vita reale senza trascurare quella specializzazione, quella separazione dei saperi che ci ha portato lo sviluppo tecnologico, il benessere e una vita tutto sommato comoda, ma che ha prodotto, come effetto secondario, una sorta di estraniazione dal mondo reale. Quando mostrano quelle interviste a persone di varia estrazione, completamente ignari del mondo, ci fanno sorridere, e pensiamo che magari sono una minoranza. Temo, invece, che quell’ignoranza abbia vinto sull’istruzione obbligatoria, e si sia diffusa, molto di più di quanto si pensi. Ecco, senza rimpiangere il piccolo mondo antico, terribile e oscuro, il pastore che conosce le stelle può comunque indicare, come la stella polare, la via di una nuova conoscenza, che unisca la necessaria istruzione con un nuovo sapere che non sia per forza quello alienante delle cieche pareti di una casa o del freddo schermo di un dispositivo elettronico.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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