Working Title/Artist: Untitled Department: Modern Art Culture/Period/Location: HB/TOA Date Code: Working Date: 1948-49 photography by mma 1998, transparency #3b scanned and retouched by film and media (jn) 12_21_04
Certo, ci vuole coraggio a recuperare i cocci e riformare il partito. Quel vaso molto delicato frantumato in mille pezzi sarà difficile rimetterlo assieme. Ricorda nei modi e negli atteggiamenti la vecchia democrazia cristiana dove, di tanto in tanto, si dava battaglia nelle terribili nottate dei lunghi coltelli. Un vecchio amico di fede DC una volta mi disse: “Non c’è peggior nemico per un democristiano di un democristiano”. Ecco, questo mi sembra, dopo poche giornate dal voto referendario, il clima all’interno del partito democratico. Un partito lacerato, deluso, senza bussola, senza un porto dove approdare, senza troppe possibilità se non quelle del veleno e dell’odio. Renzi, di suo, ha già dichiarato che non intende impegnarsi in un nuovo governo, si toglierà la giacca e rimarrà in camicia e con quella ricomincerà a girare per le strade e le piazze come un segretario di partito che si rispetti. Significa che il doppio incarico, quello di segretario e Presidente del Consiglio, non poteva funzionare. E non ha funzionato. Come non hanno funzionato certe alleanze, certe maramalderie, certi sfottò e locuzioni giovaniliste sinceramente fuori luogo e degne di una godereccia gita scolastica. Il Partito democratico ha più di un problema perché ha moltissime anime. Troppe. Ci sono quelli vicini a Bersani, dell’area riformista, i “democratici davvero” che si riconoscono in Rosy Bindi, i popolari di Fioroni, i fuoriusciti da scelta civica, la rete dem rappresentata da Lo Giudice, l’area dem che si riconosce in Franceschini l’ex traghettatore che, pare, abbia pugnalato Renzi e che a sua volta sia stato pugnalato dal segretario e, di fatto, è stato bruciato per diventare futuro Presidente del Consiglio. C’è una minoranza abbastanza consistente di “sinistra” rappresentata dalla corrente “sinistra e cambiamento” che fa capo a Martina e Damiano e, infine ci sono loro, i renziani a condurre gioghi e guerriglia, a difendersi e attaccare. Praticamente un quadro di Pollock, uno dei maggiori rappresentanti dell’espressionismo astratto. Perché di questo si tratta: fuori dalle metafore il Pd non ha nessuno concretezza, nessuna compattezza e nessuna speranza di essere classe dirigente. Renzi probabilmente lo aveva compreso e anziché tentare di unire, smussare, ascoltare, di fare il segretario insomma, ha preferito giocare su un altro tavolo, sparigliando velocemente le carte, provando a spostare l’asse sul governo e sul carisma. Ha indebolito il suo partito, e non è riuscito nell’unico intento che si era dato: riformare il paese. Il PD ha troppe anime e troppi “distinguo” , mali che hanno sempre accompagnato la sinistra arrovellata nella sua eterna sindrome “tafazziana”. Si tratta, adesso, di provare a ripartire ma non lavorando sulla carrozzeria che di suo è comunque ammaccata. Bisognerebbe aprire il cofano e riparare il motore. Per quello però ci vorrebbero gli operai, quelli che il Pd sembra non avere più da molto tempo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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