Oliviero Beha mi riporta irrimediabilmente alla mia tarda adolescenza, a quando – a 23 anni – tifavo accoratamente la nazionale italiana di calcio che andò a vincere, in Spagna, il suo terzo mondiale. Furono giorni dolcissimi, assolati, vissuti con gli amici in una Alghero colma di bandiere tricolori. La mia R5 amaranto che camminava a stento e partecipava al carosello gioioso da via XX settembre alla passeggiata. Avevamo vinto e avevamo sofferto. Poi, però, Oliviero Beha, giornalista che ammiravo insieme a Gianni Brera e Gianni Mura, cominciò a raccontare una storia, cominciò a porsi qualche domanda su una partita, l’ultima del girone eliminatorio: quella con il Camerun. Ecco, da quel giorno, da quando Beha cominciò a dubitare della bontà di quel risultato, ho intravvisto nel mio universo nitido e azzurro qualche strana nuvola che si addensava. E se fosse vero? Ho poi concluso frettolosamente che magari il Camerun non aveva forzato, magari poteva vincere ma Eupalla, come la chiamava Brera, ha girato in maniera diversa. Il pallone è rotondo, gli uomini meno. E’ quello che ha sempre pensato Oliviero Beha e adesso che è morto riesco a comprendere l’essenza delle sue parole che non erano congetture o, come si dice oggi “bufale”, ma erano, probabilmente, frutto di un ragionamento e di passaggi legati a qualche indizio, forse più di un indizio che portavano alla “combine”, alla possibilità che l’Italia quella partita magari non proprio se l’aveva comprata ma qualche passaggio, qualche forzatura, qualche sterile richiesta l’ha pure fatta. I detrattori di Beha sostenevano chiaramente il contrario. Un pareggio che ci fece finire nel girone di ferro: quello con il Brasile – favoritissimo – e l’Argentina. Ed invece, come titolò il Corriere dello Sport all’indomani della vittoria sui carioca per 3 a 1 – con tripletta del redivivo Paolo Rossi – “il Brasile siamo noi” e lo fummo fino alla conquista del titolo. Però Olivero Beha ci ricordava che la palla è rotonda e gli uomini meno. Sono più disposti a vivere una vita tra angoli acuti e compromessi non proprio edificanti. Aveva un carattere difficile Oliviero, un carattere vero, diretto, scontroso, leale. Probabilmente la sua avventura al quotidiano “La Repubblica” finì in maniera burrascosa per una serie di prese di posizione, così come finì burrascosamente la sua collaborazione con il Tg3 di Bianca Berlinguer. Era giornalista, scrittore, autore di spettacoli teatrali, conduttore radiofonico. La cosa che mi ha colpito, stamattina, è la notizia sul suo vecchio quotidiano “la Repubblica” relegata nella pagina dello sport, dopo la Juve e gli anticipi di ieri. Ho avuto come un motto di rabbia: Beha non era un giornalista sportivo: era anche un giornalista sportivo e meritava, al pari di altri ricordi, una pagina nella cultura in un giornale che aveva contribuito a far diventare grande. Ora che è morto piuttosto giovane non si deve glorificare, sarebbe stupido, ma provare a camminare sulle strade percorse con tenacia da lui si: la palla è rotonda, come la ruota, come la bellezza. Gli uomini un po’ meno. Era un uomo libero Oliviero Beha ed era uomo di grandi orizzonti. Con lui è partito anche un pezzo del Mundial 82, la mia piccola gioventù e quella strana partita che l’Italia giocò con i fenomeni del Camerun. Chissà. Prima o poi un articolo definitivo Beha, su quella partita, lo scriverà. Ne sono quasi certo. E’ bello sognare che la palla è rotonda, ma è dannatamente vero che gli uomini non hanno questa terribile perfezione.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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