Nicola Tanda: “Mi parli della poetica di Predu Mura”. Candidata all’esame: “Praticamente….” Nicola Tanda: “Sì, ma anche teoricamente”. Silenzio, poi una lunga riflessione a voce alta dell’accademico sull’importanza delle parole, sull’inutilità delle parole dette tanto per dirle, seguita dalla ragazza con occhi atterriti. Se non ricordo male, la candidata non riuscì a superare la prova: le fu fatale quell’avverbio così improvvido, proprio all’esordio, accolto con stizza dal professore. Era un appello di Letteratura italiana, anno 1992, Magistero di Sassari Nicola Tanda è mancato due mesi fa, ma io ne faccio il Personaggio del giorno di oggi. Andavo a seguire le sue lezioni perché le trovavo un ottimo strumento per decodificare quel presente. Certi ammonimenti non mi hanno mai abbandonato, anche se non sempre sono stato in grado di rispettarli. Erano i tempi di Mani pulite e delle gogne in pubblica piazza. Anche tra noi ventenni convinti di cambiare il mondo, prima che il mondo cambiasse noi, non si parlava d’altro. “Ricordate che la politica è la cosa più alta che abbiamo. Non confondetela con certi politici”. Tra questa affermazione e la prima vi è una relazione sottile, ma che ora trovo chiara. Era un invito a usare le parole consapevolmente, con prudenza, a non buttarle vie come cicche di sigaretta.
In questo caso ogni parola presuppone un’attenzione in chi la legge e ascolta, sarebbe importante non vanificarla o offenderla. Le parole possono essere pietre e non sempre ce ne accorgiamo. Io per primo ne faccio una colpa a me stesso, rileggendo cose scritte in passato con troppa disinvoltura: non sono tra quelli che puntano l’indice contro gli altri, ritenendosi al di sopra di questa inflazione di pensieri fuori controllo. Il problema riguarda anche me. Non parlo del cazzeggio quotidiano di ciascuno di noi, quello deve restare libero, parlo di quel che è realmente importante, tocca la sensibilità degli altri e impone senso di responsabilità. Nicola Tanda che prega di amministrare le parole mi appare davanti agli occhi ogni volta che un fatto di cronaca importante, come il terremoto o un attentato terroristico, scarica sulle nostre bacheche tonnellate di commenti e opinioni. È una grande conquista che tutti possano dire la loro. Sarebbe una conquista altrettanto importante se, prima di esprimere ciascuna di queste opinioni, ricordassimo l’invito alla misura di Nicola Tanda. Al prossimo reading di Sardegnablogger, il 2 settembre a Borutta, leggerà con noi un amico. Sarà la sua prima volta e mi ha chiesto dei consigli: io, che non sono un attore, gli ho risposto cercando di interpretare quelle lezioni del professore. “Rispetta ogni parola, scandiscila, completane il suono distintamente dalla prima all’ultima lettera, soffermati su ciascuna di loro con la stessa attenzione cui costringi chi deve ascoltarla”. L’ultima volta che ho visto Nicola Tanda è stato nel maggio dello scorso anno, quando ci incontrammo sullo stesso volo diretto a Londra. Lui non poteva ricordarsi di me ma mi sembrò di capire che una chiacchierata, prima del decollo, se la sarebbe fatta volenitieri. Ma io temevo di farmi scappare qualche “praticamente” e non andai oltre un breve saluto.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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