Nicola Legrottaglie è il vice allenatore del Cagliari. Da calciatore è stato un difensore centrale di buon livello al Chievo, alla Juventus e al Catania. Ad un certo punto della sua carriera si parlò molto di lui, ma non per le performance sportive: Legrottaglie visse una crisi mistica che lo portò a diventare un cattolico profondamente praticante e a rinunciare a certi privilegi della comoda condizione di star del pallone. Un uomo sensibile, pieno di dubbi e domande, lontano dallo stereotipo del calciatore disimpegnato. Queste capacità di riflessione e pacatezza, così preziose in uno sport sempre più isterico qual è il calcio, colpiscono anche quando si leggono i post del profilo Facebook del vice di Rastelli. Nei giorni scorsi, l’auto del presidente del Pescara Daniele Sebastiani è stata incendiata, atto culminante della contestazione di tifosi delusi dal deficitario andamento della squadra. Quegli stessi tifosi che, pochi mesi fa, portavano in trionfo i loro calciatori per la meritata promozione in Serie A. Mi sono permesso di copiare il pensiero di Legrottaglie riguardo a questo ennesimo atto di vandalismo, perché lo ritengo una lezione di buon senso. Buona lettura.
“Il calcio è un gioco. Qualcuno direbbe così per stigmatizzare e relegare nell’esagerazione l’episodio di Pescara, dove alcuni tifosi, secondo le prime indagini, hanno incendiato le auto del presidente. Io evito retoriche inesatte perchè così non è. Il calcio è un lavoro, per giocatori, tecnici, staff, giornalisti, procuratori e chiunque eserciti una professione legata al pallone. Il calcio è passione, che cambia l’umore di un week end, che porta alla gioia e alle lacrime. Il calcio è il sacrificio con cui si acquista un biglietto per la partita con il lavoro sudato. Il calcio è spettacolo, businnes, gossip e mille altre cose ancora, tra cui forse, nella sua remota essenza, anche un gioco.
Ma soprattutto, il calcio può essere un veicolo per la trasmissione dei valori, nelle mani di chi lo fa e di chi lo guarda. L’esempio può arrivare dal campo, ma anche dalle curve. Il messaggio che hanno scritto col fuoco alcuni tifosi è contrario a qualunque valore e, proprio come il fuoco che l’ha espresso, non genera, ma distrugge soltanto. Significato opposto, invece, ha la resistenza di un presidente che non si fa intimidire da un atto di codarda violenza, ma perservera nel tentativo di restituire credibilità al calcio di quella città. Andrebbe incoraggiato, sostenuto. Poi le persone, in quanto tali, possono commettere errori. Si possono fare scelte sbagliate. Si può perdere. Si può persino andare in serie B. Lo so, non sembra possibile e accettabile, ma sono le regole. Qualcuno ci deve andare. Che facciamo, incentiviamo il mercato automobilistico rottamando con la benzina i mezzi di tutti i colpevoli? Il dissenso è doveroso, è alla base della libertà individuale e della crescita basata sulla pluralità di idee che arricchisce una società e può anche cambiarla. Per questo, però, deve essere costruttivo. Impariamo a dosarlo e a usarlo per tradurlo in valori, magari nelle aree in cui ce n’è maggior bisogno. Anche perchè se impiegassimo l’energia riversata nella protesta sportiva per rivendicare i nostri diritti come cittadini, come lavoratori e come persone, vivremmo in un paese diverso. Un paese in cui il calcio potrebbe essere persino un gioco”.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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