L’altro giorno è morto Muhammad Waseem Maaz. Un perfetto sconosciuto. Uno dei sei miliardi circa di individui che ogni giorno occupano questo pianeta, al netto di chi sta solo per nascere e di chi muore, mentre scorrono i secondi.
Muhammad era un pediatra, e lavorava ad Aleppo, una delle città più pericolose del mondo.
Non è molto importante sapere il nome del pilota che ha sorvolato l’ospedale di Aleppo, uccidendo Muhammad e altre ventisette persone. Né ha senso sapere quale bandiera fosse dipinta sulla fusoliera.
Le guerre sono la cosa più difficile da capire, e io ho paura della violenza, di ogni violenza. Forse è per questo che le uniche guerre in cui riesco a trovare una logica sono quelle ormai spente, quelle dei libri di storia. Le guerre vive invece, quelle che anche ora, mentre io scrivo o mentre voi leggete, spanciano, frantumano teste, staccano gambe, quelle guerre preferisco non capirle.
Preferisco non capire come sia possibile che delle persone mettano in conto di sganciare una bomba su un ospedale dove ci sono ricoverati dei bambini. Se fossero adulti cambierebbe poco, ma dico, dei bambini…
Capisco invece, dal basso della mia piccolezza, l’umanità assoluta, la bellezza spirituale senza confini di chi decide di andare a curare dei bambini in un ospedale circondato dalla guerra.
Se ci fosse un Dio in grado di giudicare tutto questo, me lo immagino davanti a una bilancia. Su un piatto ci sono tutte le bombe sganciate, tutte le macchine da guerra, tutte le macerie di tutte le guerre di tutti i tempi. Sull’altro piatto c’è solo Muhammad, che porta in braccio l’ultimo neonato e lo toglie dall’incubatrice per portarlo nel rifugio.
Se ci fosse un Dio, me lo immagino che guarda la bilancia, ci pensa un po’ e decide di non spazzare via il mondo solo perché il peso di Muhammad vale quanto tutte le bombe e tutte le macerie di tutte le guerre di tutti i tempi passati e futuri. E col suo piccolo paziente in braccio, Muhammad tiene il mondo in equilibrio.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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