Pochi anni fa, quando insegnavo alla Scuola di giornalismo dell’Università e dell’Ordine nazionale, feci fare ai praticanti giornalisti un’inchiesta sulle coppie omogenitoriali a Sassari. Ne intervistarono più di dieci e nessuna di esse, che abitasse in quartieri ricchi o popolari, che i loro figli frequentassero scuole pubbliche o private, raccontò storie di discriminazione sociale o individuale. L’immagine di Sassari che veniva fuori dalle interviste era quella di una città generalmente tollerante. Anzi, di una città che non ha neppure bisogno di essere tollerante perché nel caso specifico non c’è nulla da “tollerare”. Io penso che grande parte del merito di questa diffusa cultura sia del Mos, il Movimento omosessuale sardo che oggi festeggia i venticinque anni dalla sua fondazione. O forse è più corretto dire che un’organizzazione come il Mos è il frutto di una città come Sassari? Non saprei, l’unica cosa certa è che i rapporti tra i due, pur con alti e bassi, sono sempre stati buoni. La data di fondazione è il 1992, sotto forma di Circolo Arcigay Sassari, divenuto dopo quattro anni movimento. Un’organizzazione che ha fatto dei propri temi un motivo di progresso sociale che non riguarda soltanto il tema specifico dell’omosessualità femminile o maschile. Una storia, scrive di sé il movimento, fatta di “lotta politica e attività artistica e culturale. Un quarto di secolo che ha visto il MOS, insieme a partiti, sindacati, movimenti, gruppi e tante e tanti cittadini, protagonista di lotte e manifestazioni che hanno segnato la storia della nostra città e della nostra terra”. Non è un’esagerazione. Il Mos e il suo leader storico Massimo Mele (attualmente non è più il presidente, ruolo affidato a Barbara Tetti) hanno fatto della difesa dei diritti degli omosessuali una battaglia talmente generale da coinvolgere e spesso dirigere larghi segmenti sociali che si battevano anche per i diritti delle donne, la difesa dei migranti, la tutela dei ceti economicamente svantaggiati, in generale per le libertà di scelta civile, etica e religiosa. Il Mos, insomma, in questi ultimi venticinque anni è sempre stato in prima fila in ogni battaglia di progresso portando però di fatto anche tanta acqua al mulino della lotta contro le discriminazioni sessuali. Ricordo Massimo Mele quando all’inizio degli anni Novanta seguivo come cronista il movimento studentesco della “Pantera”, di cui lui, ancora ragazzino, era tra i leader. Io avevo già più anni di un pappagallo ed era inevitabile per me fare confronti anche esistenziali con il “mio” movimento, quello del Sessantotto, quando il ragazzino ero io. Mele era dichiaratamente omosessuale e ai suoi compagni del movimento studentesco non gliene fregava nulla. Non si ponevano neppure il problema. Veniva accettato e seguito per il suo carisma, per le sue analisi, per le sue strategie di lotta ragionevoli e insieme coraggiose. Direte che è scontato, che scrivendo così divido il mio mondo in “normali” e “uomini sessuali”, come nella ironica e buffa canzone di Checco Zalone. Certo, è un discorso rischioso, un po’ claudicante sul piano del politically correct. Ma io in quei giorni facevo confronti con il mio mitico Sessantotto durante il quale, con tutto il nostro rivoluzionario progressismo, non so se saremmo rimasti indifferenti a un leader dalla leadership di cui una delle componenti era la pervicace determinazione nel perseguire il proprio diritto a essere accettato anche nella sua omosessualità. Assistere a movimenti come quello della Pantera o appunto come il Mos mi ha fatto maturare umanamente e politicamente, pur in età ormai avanzata, almeno quanto a suo tempo l’esperienza diretta compiuta nel Sessantotto. Ricordo in particolare una manifestazione piuttosto tesa davanti alla sede della questura. Io oltre alle percezioni del giornalista da strada avevo anche quelle dell’ex sessantottino e avvertivo aria da imminente carica della polizia. Dissi al fotografo di prepararsi e guardai verso i ragazzi per vedere se lo fossero anche loro. Altroché. Mele in quattro e quattr’otto li aveva tutti inquadrati in una posizione strategicamente difensiva ma ostentatamente inoffensiva. Se cioè la polizia avesse sfoderato i manganelli, studentesse e studenti in quel modo si sarebbero fatti il meno male possibile, avendo liberato mille vie di fuga, e inoltre nessuno avrebbe potuto dire a che a provocare il pestaggio erano stati loro. E infatti lo stato di tensione cessò dopo pochi minuti. E non ci fu neppure, in quei giorni, grande odio nei confronti della polizia. Anche in questo avevano superato noi sessantottini. Avevano capito il vero senso della geniale e provocatoria poesia di Pasolini dopo Valle Giulia e l’avevano riadattata ai loro tempi, che ora erano anche i miei: “ I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici”. Ecco, questo è stata la politica del Mos in tutti questi anni. Ironica e coraggiosa, tesa a fare ragionare senza chiudersi nei ghetti del malumore e del rifiuto rabbioso verso chi non vuole capire, creando così un costante esempio di socialità e di inclusione che ha fortemente contribuito a fare crescere la mia città pur con tutti i sui limiti. Mele e gli altri del Mos hanno attraversato anche brutti momenti. Non è certo una strada facile. Ma mi è capitato di assistere e anche di partecipare a qualche gay pride parade e vi posso assicurare che il corteo era talmente composito politicamente (a Sassari in fondo ci conosciamo più o meno tutti) da ricordarmi quella formidabile e spontanea manifestazione del 1973, quando la Sassari perbene e democratica, dall’area liberale (che a quei tempi voleva dire destra) sino a quella comunista ed extraparlamentare protestò contro l’arresto di Dario Fo. Movimenti come il Mos, secondo me, lottano perché simili miracoli si ripetano nella vita di ogni giorno.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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