L’America di oggi non è certamente quella che conobbe Mohamed Alì all’inizio della sua carriera. Il grande pugile, soprannominato “il più grande”, non solo per il curriculum sportivo, ma anche per il particolare carisma del personaggio e per essere diventato un’icona anche grazie al suo impegno sociale, raccontò che al rientro dalle Olimpiadi di Roma nel ’60, dopo aver vinto l’oro, si rese conto che quella vittoria non lo aveva riabilitato dalla sua negritudine, quando un ristoratore si rifiutò di servirlo perché “negro”. Eppure aveva sconfitto i russi e gli altri atleti dell’Est, i “nostri nemici”, affermò scherzosamente in una intervista televisiva, con la sua solita verve sarcastica. Si narra che fu quello il motivo dell’insano gesto di gettare nel fiume quella preziosa medaglia d’oro olimpica. Nel corso di questi anni, l’America ha proseguito il suo difficile cammino verso la democrazia compiuta, e verso il rafforzamento dei diritti civili e contro il razzismo, riabilitando, infine, lo stesso grande campione, tedoforo alle Olimpiadi di Atlanta del 1996, dove gli venne riconsegnata, simbolicamente, quella medaglia d’oro olimpica “smarrita”. Il grande campione, protagonista di tanti incontri epici quanto di battaglie sociali, come il rifiuto di combattere nel Vietnam, è morto nel giugno del 2016, certamente con una America diversa da quella di allora, quella in cui si vide rifiutare il pasto perché negro. Un’America profondamente cambiata, nonostante i tanti retaggi conservatori e razzisti, grazie anche all’impegno di persone come Mohamed Alì. Forse, allora, è stato un segno del destino che ha impedito al grande pugile di assistere alla disavventura occorsa a suo figlio, Mohamed Alì Jr., il quale, a causa delle ristrettezze imposte da Trump nei confronti dei musulmani e dell’immigrazione, è stato fermato, insieme alla madre, ed interrogato per due ore in aeroporto al rientro da un viaggio in Giamaica. Già non gli bastava di essere negro, ci mancava anche quel cognome musulmano posticcio imposto dal padre. Negro e musulmano, quanto di peggio per attirare i sospetti della polizia di frontiera. E cosi il figlio del campione ha subito un fermo di due ore senza aver fatto assolutamente nulla, con insistenti domande relative, in particolare, alla sua fede religiosa. La madre, per fortuna, è stata identificata come la moglie del grande campione grazie a delle fotografie che recava con se, e rilasciata subito. La notizia, tenuta segreta per qualche settimana, è stata diffusa grazie al legale del figlio del campione, che ne ha voluto dare notizia per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle ristrettezze e sulle esagerazioni del nuovo regime imposto dal neo-presidente USA. Chissà, forse ci vorrebbe un altro grande campione, di qualsiasi sport, oggi, per fare quello che fece Mohamed Alì.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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