Milena Gabanelli è certamente una eccellente giornalista, lo dimostrano gli apprezzamenti quasi unanimi sul suo lavoro, i tantissimi riconoscimenti ufficiali e il curriculum di grande spessore professionale. Con il celeberrimo programma televisivo Report, la Gabanelli si è costruita una fama di giornalista d’inchiesta scrupolosa e tagliente, di quelle, insomma, che non te lo mandano a dire. Il successo di Milena Gabanelli, al netto della sua indiscussa professionalità, sta nella fama acquisita di giornalista d’assalto, alternativa al sistema dominante e ai poteri forti. Quale più ghiotta occasione, nel periodo caldo di un referendum ambientalista contro le fonti fossili, mettere in luce prospettive e problemi della situazione italiana? Domenica 17 aprile è andato in onda Report con il servizio, di un inviato, sulla situazione delle energie rinnovabili, ampiamente commentato in studio dalla stessa conduttrice. Nella prima parte del servizio sono state evidenziate alcune soluzioni sperimentate nel settore. L’Italia, paese storicamente povero di fonti fossili, è un paese all’avanguardia sia nella tecnologia sia nella applicazione delle fonti cosiddette rinnovabili. Il servizio, pertanto, ha evidenziato queste eccellenze italiane che, ovviamente, erano tutte nel nord, in città come Milano, Sondrio, Reggio Emilia. Poi si è passati alle note dolenti, con il caso Sardegna. La regione d’Italia che grazie ai terreni incolti, al vento e al sole è la più predisposta all’utilizzo delle fonti rinnovabili. Dopo le malcelate critiche della conduttrice contro gli ambientalisti del NO, coloro che, insomma, dicono NO a tutte le fonti di energia in modo più o meno pretestuoso, il servizio in onda ha evidenziato le contraddizioni del governo dell’isola il quale, nonostante questa fortuna naturale, ha deciso di puntare ancora sulle fonti fossili, in particolare sul carbone e il metano. Il servizio è ben confezionato, e mette in luce le contraddizioni di una politica regionale che si attarda nel concedere le autorizzazioni per le fonti rinnovabili, mettendo in fuga fior di investitori. Del resto il Nobel Rubbia lo aveva previsto: non investire in Sardegna! A parte le denunce sui danni e sull’inquinamento, funzionali all’impronta impartita alla trasmissione, gli ambientalisti e i comitati locali paiono scomparire nelle retrovie di una battaglia chiaramente di retroguardia. La Sardegna, è questo il messaggio che emerge dalla trasmissione, è inquinata per via di queste politiche arretrate, per queste resistenze frutto di retroguardie culturali e di pretesti localistici. La chiosa finale della Gabanelli, tornati in studio, è: vuoi vedere che il Qatar, il più grande produttore di metano al mondo, che si è comprato Meridiana e la Costa Smeralda intera, c’entra qualcosa in questa storia? Quale migliore insinuazione, in tempi di affarismo generalizzato legato alle fonti fossili, si poteva arguire? Del resto la giunta regionale sarda, in netta contraddizione con i propri doveri istituzionali di proponenti del referendum, si è schierata contro, in quello che ai più è parso un allineamento discutibile con il Governo Renzi. E Report, si sa, va contro il sistema. Una politica regionale che privilegia le fonti fossili, nello specifico, in luogo di quelle rinnovabili, è dunque palesemente sbagliato. Chiunque dotato di un minimo di buon senso comprende che è in atto la transizione tra queste due famiglie di fonti energetiche e che, al limite, le divergenze possono nascere su che tipo di gradualità attivare nella gestione di questo passaggio. Tuttavia, in questa apparentemente impostazione inattaccabile nella sua logica, qualcosa non torna. In un mio precedente articolo avevo sottolineato il timore che il referendum avrebbe accentuato una retorica un po’ semplicistica. La mente umana, si sa, ragiona meglio con delle opposizioni nette, facendo fatica a registrare le complessità e le sfumature delle cose. Nel gioco di queste semplicistiche opposizioni, le fonti fossili sono state sempre più demonizzate, mentre le fonti rinnovabili sempre più idealizzate. La realtà è un po’ più complessa, perché, come è ovvio, anche le fonti rinnovabili hanno un costo, specie se il mercato è drogato da quote e incentivi di vario genere. Anche le fonti rinnovabili inquinano, anche se di meno, hanno un impatto sul paesaggio a volte deturpante, hanno dei costi onerosi di smaltimento dei rottami una volta terminato il ciclo produttivo, e possono consumare prezioso suolo agricolo. Ho fatto spesso l’esempio delle biomasse, che stanno producendo un aumento del disboscamento nel mondo, quanto di meno ecologico possa esserci insomma. Tuttavia, se si vorrà salvare il pianeta, si tratta di governare questa transizione verso le fonti rinnovabili anche modulando incentivi che produrranno degli utili. Ora, come si distribuiranno questi costi e questi benefici? Il punto sta qua. Perché, dato che il nostro è un mondo squilibrato, automaticamente i guadagni in questa fase di transizione finiranno nelle tasche di imprese che provengono dalle zone centrali del pianeta, mentre i costi, sociali e ambientali, verranno scaricati sulle aree più deboli. Certo, se facciamo un calcolo complessivo del bilancio per il pianeta, esso sarà certamente positivo. Ma perché i guadagni devono finire nella Pianura Padana e i costi in Sardegna? Le imprese che stanno investendo sulle rinnovabili in Sardegna, infatti, provengono quasi tutte da fuori, ed esportano l’energia elettrica fuori dall’isola. I guadagni, dunque, finiscono altrove, insieme all’elettricità che non finisce, come dovrebbe, per il consumo locale. I sardi inoltre, per colmo del destino, si ritrovano il costo degli incentivi, dell’altrui guadagno, in bolletta. Ancora più triste il fenomeno dell’accaparramento di terre, tipico dei paesi del terzo mondo, già iniziato in Sardegna, il cosiddetto “land grabbing”. In Sardegna le rinnovabili consumano suolo agricolo e lasciano rottami. Nessuna traccia di un possibile sviluppo sociale ed economico locale, zero, niente di niente. E’ così sbagliato fermarsi un attimo a riflettere? Ecco, su queste semplici domande, la Gabanelli non offre nessuna risposta. Neppure, nel suo programma, offre una prospettiva storica: la Sardegna è inquinata non perché ha detto no alle rinnovabili, ma perché in quell’altra fase di transizione, quella dell’industrializzazione degli anni ’60, la pesante petrolchimica di Stato fu dislocata in Sardegna. E anche allora si disse che la Sardegna, per essere moderna e all’avanguardia, doveva accettare tutto ciò. Anche se i guadagni, ora come allora, finirono nelle tasche di altri. E l’inquinamento, ovviamente, restò in Sardegna. Non c’è dubbio che la politica regionale sul versante dell’energia sia del tutto inadeguata ai tempi. Tuttavia, anche se mi rendo conto che la Gabannelli, da grande giornalista, sa bene come solleticare la malizia del telespettatore, mi corre l’obbligo di deludere lei e tutti quelli che hanno visto nella insinuazione sul Qatar la risposta alla loro curiosità. Molto più banalmente, la centrale a carbone che è in previsione nel sud della Sardegna, e questo stranamente la Gabanelli non lo dice, serve per riattivare, in accordo con il governo nazionale, la cosiddetta filiera industriale dell’alluminio. L’ennesima concessione ad un modello industriale di fabbriche da decenni in difficoltà che in Sardegna ha portato inquinamento e cassintegrati, che ora protestano per un posto di lavoro. Il carbone, sporco e cattivo, costa poco. Sporco, inquinante, puzzolente, ma economico. Una scelta palesemente sbagliata, ma dettata dalla disperazione di centinaia di operai senza lavoro. Ma questo, la Gabanelli, non lo dice. Una ultima domanda, vorrei fare, ora, a Milena Gabanelli, a proposito dell’immagine di un gregge di pecore pascolanti, messo, non vorrei sbagliarmi, quasi come indice di utilizzazione povera del territorio. Il Pecorino Sardo, recentemente, ha superato nel suo prezzo il Parmigiano. Due grandi eccellenze dell’agroalimentare nazionale di cui essere fieri. Ma perché, a differenza di quanto accade in Sardegna, nessuno penserebbe mai di sottrarre prezioso suolo agricolo nella zona di produzione di questa eccellenza padana?
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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