Cosa accadrebbe, oggi, se il governo italiano decidesse di allestire due tra le sue due più grandi navi militari per andare a salvare migranti, non al limite delle acque territoriali nazionali ma per rispondere ad un’emergenza umanitaria in corso dall’altra parte del mondo? Probabilmente quel governo cadrebbe, assediato da interrogazioni parlamentari, manifestazioni di piazza e dissenso interno. Molto più probabilmente, penso io, neppure si prenderebbe in considerazione l’idea di spendere “soldi dei contribuenti” per andare a salvare gente disperata che, tra l’altro, non arriverebbe mai a lasciare la propria orma sull’italico suolo. Se un problema è lontano, non è un nostro problema: grosso modo oggi si ragiona così. Eppure c’è stato un momento della storia recente in cui abbiamo mandato i nostri soldati a salvare gente che vagava su carrette del mare in acque non mediterranee, ma lontane migliaia di chilometri da noi. Operazioni sostenute dal massimo consenso popolare e politico, seguite da una gara di solidarietà per l’integrazione dei rifugiati. Parliamo del 1979, non di un’era geologica fa.
Guardate la carta che pubblico come immagine di questo post: il pallino blu siamo noi, la posizione in cui ci troviamo, la freccia rossa è il golfo del Siam, distante 21mila chilometri di navigazione. In quel 1979 il governo italiano inviò gli incrociatori Vittorio Veneto e Andrea Doria fin là per salvare la cosiddetta “Boat People”, letteralmente gente delle barche. Questa gente erano centinaia di migliaia di profughi del Vietnam del sud – qualcuno arrivò alla stima di 800 mila esseri umani – che fuggivano alla persecuzione del regime comunista insediatosi dopo la riunificazione del paese, a seguito della ritirata degli americani.
I dissidenti non possono scappare via terra in Cambogia, occupata dai Khmer rossi, e quando approdano sulle rive della Malesia vengono respinti. Vagano tra i flutti nell’immenso mare cinese, in attesa della salvezza ma con la morte in agguato. Tiziano Terzani racconta questo dramma sulle pagine di Repubblica. In Francia, direttamente coinvolta per il suo passato coloniale in Vietnam, si muove Jean Paule Sartre, che rende pubblica la vicenda e chiede un intervento del presidente Giscard D’Estaing. Ma si muove solo l’Italia. Il governo del solito Giulio Andreotti individua nell’onorevole Zamberletti il coordinatore delle operazioni di aiuto e, il 4 luglio del 1979, gli incrociatori Vittorio Veneto e Andrea Doria, appoggiate dalla nave Stromboli, vengono spediti verso il golfo del Siam. Le due unità da guerra sono state adattate al trasporto passeggeri, in modo da poter accogliere il maggior numero possibile di profughi. A bordo ci sono anche due missionari e uno studente vietnamiti, indicati dal Vaticano: spetterà a loro fare da interpreti. La flotta italiana arriva a destinazione il 21 luglio, dopo aver navigato per 21 mila chilometri senza aver mai fatto scalo. Si alzano in volo gli elicotteri in dotazione agli incrociatori per perlustrare dall’alto il golfo e cercare le zattere dei disperati, che non tardano ad essere localizzate. Di questi migranti ne verranno raccolti quasi 900, prima che i tre mezzi della nostra Marina ritornino in Italia a pieno carico. Il 20 agosto del 1979 il Patriarca di Venezia, diversi ministri e una folla di migliaia di persone salutano l’ingresso a Venezia del Vittorio Veneto, dell’Andrea Doria e della Stromboli. Parte una incredibile – guardandola con gli occhi di oggi – gara di solidarietà per accogliere questa gente. I veneti offrono le loro case, i loro risparmi, la loro amicizia per dare case, lavoro e opportunità ai vietnamiti in fuga dalla repressione. Questa dimostrazione di umanità finì col coinvolgere anche altri Paesi, che offrirono il loro aiuto come l’Italia. Se non credete a quel che ho scritto, cercate su google “Boat People” e “Vittorio Veneto” e vedrete che non vi sto raccontando panzane. So bene che una migrazione di massa, continua e inarrestabile, pone problemi ben diversi da uno sbarco isolati di meno di mille persone. Ma io sono convinto che sia cambiato qualcosa in noi, negli occhi con cui guardiamo al prossimo. Non sarebbe male tornare allo spirito di quel 1979. Quando un problema restava un problema, anche se avveniva a migliaia di chilometri da noi e parlava una lingua diversa.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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