Scorrendo l’elenco infinito delle battaglie combattute da Marco Pannella nella sua intensa vita politica, fatico a trovare qualcosa di diverso dai miei convincimenti. Eppure credo di essere precipitato pure io, negli ultimi anni, in quella sorta di apatia se non di gelido distacco che marca le distanze tra la gente comune e i politici. La figura di Pannella si era lentamente sbiadita con il trascorrere del tempo e il mutare dei costumi, i suoi leggendari scioperi della fame stimolavano ormai più i tasti della compassione (e a tratti del fastidio) che non quelli della protesta sociale. Va detto pure questo, per onestà intellettuale, nel giorno della morte di uno degli ultimi politici di razza rimasti in questo paese di faccendieri, populisti e falsi profeti da quaranta caratteri.
Pannella era fondamentalmente un liberale. Magari atipico, ma un liberale, ispirato da un principio nobile qual è la non violenza e la lotta pacifica, spesso provocatoria ma sempre gandhiana. Alcune sue iniziative sono state assolutamente straordinarie. Penso al referendum contro il finanziamento pubblico ai partiti che promosse e sostenne nel 1978 (!) contro tutti i partiti coalizzati tra loro in cui sfiorò una clamorosa affermazione; ottenne il 40% di “si”. Erano anni in cui il referendum era una cosa seria per gli italiani, il grado di passione era elevato, il Paese veniva chiamato ad adeguare le sue leggi ai grandi mutamenti della società, costringeva tutti a guardare anche oltre i confini e rapportare la nostra condizione di cittadini con quella di altre nazioni.
Sarà per questo che, da neo elettore, affidai i miei primi voti ai radicali. Mi piaceva l’idea di appoggiare un partito vivo, combattivo, schierato per i diritti civili, che lottava per il progresso e non per conservare ciò che, ai miei occhi, sapeva di vecchio e stantio, di clericalismo, moralismo e ipocrisia. Come tanti giovani dell’epoca, sognavo di contribuire a cambiare l’Italia, ero contro la guerra, contro il nucleare, contro la caccia, contro la pena di morte, contro la galera per chi si fa una canna, contro chi si opponeva all’obiezione di coscienza. Sentivo nelle battaglie di Pannella e dei radicali l’impulso rivoluzionario che si agitava in me, la riscossa dei colori riversarsi sul grigiore della politica come una salutare secchiata di freschezza giovanile.
Certo, non sono mancati gli scivoloni, nel cui elenco non annovero l’elezione di Ilona Staller in Parlamento; il grande circo della politica ci ha riservato, negli anni successivi, ben altri episodi di decadimento morale. Fu invece un errore, a mio avviso, la presa di posizione contro il carcere duro per mafiosi e terroristi che nulla a che vedere con la sacrosanta battaglia contro le condizioni disumane in cui versano molte galere italiane che ha combattuto fino agli ultimi giorni della sua vita. E fu un errore anche l’alleanza con Berlusconi, suggerita da mere necessità elettorali a dispetto dell’abissale distanza culturale che separava i due leader.
Sarà per via della mia professione ma di Pannella mi è cara soprattutto un’immagine: quella in cui, imbavagliato e con indosso un cartello di protesta, si presenta alla tribuna politica dedicata al referendum sull’aborto per protestare contro la Rai, accusata di non concedere spazio ai proponenti. La par condicio era di là da venire ma Pannella, come spesso capitava, era già “sul pezzo” a protestare con tutta la teatralità di cui era capace. Dobbiamo qualcosa di importante a Marco Pannella: il rispetto per la forza con cui ha difeso e diffuso le sue idee, spesso contro tutto e contro tutti, facendo da controfigura alla nostra coscienza civile ormai spenta.
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