A Luigi Di Maio e ai suoi derivati si potrebbe dire: benvenuti nella politica. La politica vera, quella che si fa stando dentro le amministrazioni e confrontandosi con la gente in carne ed ossa e i suoi problemi, per risolvere i quali non c’è sempre una soluzione a portata di mano e non bastano i forum online, le elezioni in rete, i proclami, gli slogan e la denigrazione di qualunque avversario. La politica non è matematica, due più due non fa sempre quattro, contempla anche tentennamenti ed errori. L’amministrazione di Virginia Raggi, a Roma, ha sbattuto la testa contro queste verità dopo poche settimane di mandato: la vicenda Muraro, le dimissioni, le accuse di scarsa trasparenza, le omissioni, le reticenze su provvedimenti giudiziari per i quali, quando riguardavano gli altri, si invocava la massima trasparenza e dimissioni immediate. Io li vedo come peccati veniali o inceppi di una macchina ancora in fase di rodaggio, se non fosse che per Grillo e i suoi seguaci un’indagine a carico di un politico diventava automaticamente l’assist per rinnovare una propaganda a base di gogne e ghigliottine. Senza distinguere tra indagini per reati contro la pubblica amministrazione o infrazioni di poco conto, soprattutto dimenticando che tra l’essere imputati e l’essere condannati intercorrono tre gradi di giudizio.
Tornando a Roma, il sindaco e i suoi collaboratori hanno capito subito che manovrare leve e pigiare bottoni, stando sul ponte di comando, è molto più difficile che fare propaganda. Il sindaco di Parma Pizzarotti questa distanza tra dire e fare l’aveva capita ancora prima della Raggi e, per questo, finì ripudiato dal Movimento. Ieri ha scritto un post gonfio di sarcasmo e soddisfazione. Diceva così: “In effetti stando sulla riva del fiume si vede passare un sacco di gente”. I Cinquestelle hanno il diritto di sbagliare e certo nulla si può imputare loro nel disastro ereditato dalle precedenti amministrazioni romane, se non un eccesso di coraggio e fiducia. Erano convinti bastasse l’onestà per rimettere a posto tutto e, benché questa sia la prima condizione, forse non è sufficiente. Serve capire la complessità della politica. Non serve, invece, recitare la parte delle vittime o gridare al complotto, come stanno facendo Luigi di Maio e i suoi derivati. Perché se questi pasticci li avessero fatti altri, loro sarebbero già in piazza a manifestare, invocando condanne e dimissioni in un tintinnare di manette.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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