Quando l’argentino Mauro German Camoranesi è stato naturalizzato italiano per permettergli di giocare con la maglia della nazionale, vincendo peraltro un mondiale, ci sono forse state interrogazioni parlamentari e scene da saloon al Senato? No. E quando hanno naturalizzato Eder, perché eravamo a corto di centravanti? Neppure.
La nuova legge sullo ius soli è stata presentata in modo sbagliato. Un grave errore nella comunicazione istituzionale da cui è nata la gazzarra in Parlamento e tutte le scontate polemiche. Riconoscendo l’italianità a tanti minori senza patria, i vivai delle nostre squadre di calcio si popoleranno di giovani talenti di origine sudamericana o africana cui far indossare la maglia azzurra, al preciso scoccare del loro talento. Atleti capaci di rinvigorire il nostro movimento pallonaro, riportandoci agli antichi fasti negli stadi del mondo, e di dimostrare la risaputa superiorità dell’italica stirpe: questo avrebbe dovuto dire il governo, per prevenire la cagnara e blandire i seguaci della purezza della razza.
Torniamo seri. Io proprio non riesco a capirla la contrarietà di chi si oppone a questo elementare diritto di cittadinanza. Cosa toglie a costoro? Boh, non so.
Ho avuto nella scuola superiore dove ho insegnato, quest’anno, diversi ragazzi figli di immigrati. Farma, Alina, Amarildo, Waadie e Cristina hanno genitori senegalesi, romeni, marocchini e albanesi. Sono indistinguibili dai loro compagni di famiglia italiana: hanno lo stesso accento e usano le stesse espressioni dialettali, vestono allo stesso modo, amano gli stessi cantanti, guardano gli stessi programmi televisivi. Sono esattamente come tutti gli altri, nel senso che la loro integrazione è così completa da non porsi minimamente come problema. Sono nati qui e sono figli della nostra cultura. Anche se non hanno giocato a pallone e se nessun procuratore ha fatto carte false per immatricolarli come comunitari, cercando qualche trisavolo italiano. Sulle loro differenze di origine loro ci scherzano, appiccicandosi appellativi collegati al colore della loro pelle o alla loro origine che in un primo momento potrebbero apparire offensivi. Invece à l’opposto: se uno di loro viene chiamato “negro” da un compagno è proprio per evidenziare, con un registro ironico, il ridicolo di queste distinzioni assurde, senza senso. Benvenuti nuovi italiani.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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