In estrema sintesi: da oggi anche gli inglesi sono extracomunitari. Hanno scelto – con poco aplomb, a dire il vero – di abbandonare l’incerottata unione europea e restare da soli in mezzo al mare. Il personaggio del giorno non può non essere l’inglese, quel suo modo tutto altezzoso di guardare gli altri, quel suo accento così diverso e così impossibile da imparare costruito tranquillamente per enfatizzare la loro differenza rispetto al resto del mondo. A Londra, l’unica volta che ci andai, vicino alla stazione di una metropolitana chiesi un’informazione con il mio stentatissimo inglese. Mi aspettavo che il buon londinese si comportasse come comunemente facciamo noi, qui in Sardegna: proviamo, stringendo gli occhi e arricciando il naso, di comprendere il senso della richiesta e a gesti e mezze parole riusciamo a soddisfare il povero turista che ci considera, tutto sommato “molto pittoreschi”. Invece quando quel signore allegro e disponibile ritorna a casa sua, alle richieste del povero turista poco incline alla sua lingua risponde, senza mezzi termini: “Sorry?” e fugge via con il suo ombrello da passeggio. Ho giurato che non avrei più messo piede a Londra finché fosse popolata da inglesi. Sono, sotto alcuni aspetti insopportabili. Era da tempo che minacciavano l’uscita dall’Unione Europea anche se, a dire il vero, non vi erano mai del tutto entrati in maniera chiara. Hanno mantenuto la loro moneta, la sterlina, continuano a viaggiare a sinistra e si sentono, comunque, terribilmente colonialisti e conquistatori. Adesso gli analisti (gli stessi che ieri sera brindavano ai sondaggi degli exit-pool per essere poi terribilmente smentiti dai risultati reali) dicono che l’Unione ha sbagliato e che si sono fatte troppe concessioni a Londra. Chiaramente è roba per analisti. Ritorno, più prosaicamente al personaggio del giorno: a quell’inglese figlio dei luoghi comuni (come per gli italiani, i francesi, i tedeschi e gli americani) che continua a voler salvare la Regina, che si commuove per la nascita dei principini, che non ha un menù tipico e vive di fish and chips, beve esclusivamente birra e non è molto simpatico. Nell’ipotetica lista del gradimento rimane un gradino sotto il tedesco e qualche gradino sopra il francese. Capisco che sto affibiando – e sbagliando – etichette. So benissimo che non sono questi i metri di paragone per misurare le persone e i popoli. So anche che in Inghilterra esiste ottima musica, ottimi poeti e grandi scrittori. Sono un popolo socialmente avanzato sul welfare e in materia giuridica sono gli inventori della probation. Però sono altezzosi, stravaganti, egoisti, razzisti, unicisti, innamorati della propria lingua la quale, purtroppo, impera in tutto il mondo. Ecco: non ho mai imparato la lingua anglosassone per antipatia innata nei confronti degli inglesi. Ho giusto imparato alcuni vocabili utili per la sopravvivenza. Ho amato perdutamente i Pink Floyd e i Beatles ma mi chiedo: come faceva Claudio Baglioni negli anni settanta a cantare Viva l’Inghilterra? Insomma, per quanto mi riguarda la brexit è solo un punto d’arrivo. Eravamo separati di fatto. Adesso giunge il divorzio. In ogni caso a Londra andrò solo quando non ci saranno più gli inglesi e poi, a dirla tutta, a me la colazione con eggs and bacon non è mai piaciuta e l’unico film brillante che io ricordi è “un pesce di nome Wanda”. Per il resto della Gran Bretagna, in Europa, forse ne possiamo fare a meno.
The end.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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