Il numero 13 denota la ribellione, la disintegrazione, la rivoluzione. (Gen. 14:4) Non so quanto ci fosse di ribelle e rivoluzionario, ma la disintegrazione c’era tutta: Fausta Bonino ne ha fatti fuori 13.
Se l’infermiera di Piombino avesse agito in nome di un qualche travisato senso di umanità, il titolo sarebbe potuto essere “Arsenico e vecchi cateteri”. Invece la sua è un’immagine ben lontana da quella di missionaria o agente divino che, in un paese dove l’eutanasia è illegale, pone fine alla sofferenza dei malati terminali. Non un’amabile signora, come zia Abby o Martha, che conduceva garbatamente i degenti ad abbandonare questa vita per transitare nell’altra. Niente di tutto ciò.
I pazienti uccisi con inimmaginabili dosi di eparina, stando alle prime indagini, avevano un’età compresa tra i 61 e gli 81 anni, erano affetti da patologie totalmente reversibili: rottura di un femore o interventi chirurgici di routine e che stazionavano nel reparto di anestesia e rianimazione dopo la sala operatoria.
Purtroppo, prima che potessero essere smistati nei reparti di competenza, li ha trovati lei.
Lei che ragionava come un’infermiera e agiva come una terrorista. Lei che, evidentemente in preda a un delirio di onnipotenza, ha pensato di ergersi ad arbitro della vita. Lei che era convinta, a ragione, di poter disporre delle vite altrui. Lei è ovviamente malata, molto più delle sue vittime. La maggior parte di noi non possiede le competenze per valutare la consistenza delle sue turbe psicologiche, ma è evidente a tutti che quei fili che tenevano uniti equilibrio e ragione si sono spezzati.
Non è la prima volta che i reparti degli ospedali custodiscono dei killer in camice bianco. C’è molto di assurdo in questa storia, come in tutte quelle analoghe, e non riguarda la patologia psichiatrica di alcuni operatori, il cui effetto sganghera i protocolli, infrange la legge e frantuma l’etica. Non la predilezione individuale a uccidere coi moventi più disparati, talvolta anche senza averne uno, quanto l’abilità di alcuni funzionari che riescono a celare quei delitti nelle “morti senza motivo”, magari per salvaguardare la reputazione dell’ospedale.
Quella di oggi è una notizia che evidenzia il tallone d’Achille del sistema che amministra le strutture sanitarie, mettendo brutalmente a nudo la faciloneria di alcuni suoi responsabili. Favoreggiatori, più o meno consapevoli, di una squilibrata mascherata da infermiera zelante.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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