Nel frattempo il figlio è cresciuto e, come per magia, per uno di quei vuoti temporali che la nostra vita frenetica ci riserva, me lo sono ritrovato, improvvisamente, in prima liceo, al linguistico. Mi sono detto che, se si vuole conoscere bene il mondo di oggi, il liceo linguistico poteva offrire degli utili strumenti culturali. Con mia grande sorpresa, invece, ho scoperto che tra le materie studiate al liceo linguistico non figuravano la storia e la geografia, sostituite da una materia unica, compressa in poche ore settimanali, la geostoria. La storia e la geografia sono le materie che forniscono una importante apertura mentale rispetto ai problemi del mondo. In particolare, conoscere la storia degli altri paesi significa conoscere le problematiche del pianeta, sapere l’origine dell’attuale stato di cose. In generale, sminuire la storia e la geografia nelle scuole persegue quell’idea culturale generale di un sapere scollegato dalle questioni del pianeta. L’istruzione nazionale deve contemplare la matematica, l’informatica, la scienza, anche le lingue, ma non si deve occupare della storia e della geografia. Cioè non si deve occupare del pianeta, della terra, delle nazioni, dei popoli del mondo e della loro storia. Non si deve occupare di politica, insomma, se non mediante il filtro degli stereotipi. La dimostrazione di quanto sopra, è data dalla considerazione della storia nuragica. Cioè di una particolare storia antica che, per ragioni di unità nazionale, non è entrata a far parte della storiografia ufficiale, in quanto proveniente da quella che di fatto è una minoranza etnica considerata, evidentemente, un ostacolo alla ricostruzione di una retorica patriottica. La lettura del libro del liceo sulla civiltà nuragica è, infatti, sconcertante. La storia nuragica viene inserita, per forza cronologica, all’inizio del capitolo sulle civiltà italiche pre-romane. Ma la civiltà nuragica nasce un millennio prima di quella romana, si può definire pre-romana per modo di dire. Mentre un capitolo, in precedenza, viene dedicato alle civiltà ebrea, fenicia, cretese e micenea, la storia nuragica, coeva a quelle, viene inserita molto dopo, e non a caso, come vedremo. Si legge: “La data d’inizio è molto incerta: alcuni indizi fanno pensare che essa esistesse già nel II millennio a.C.” (alcuni indizi! Migliaia di monumenti archeologici!), “ma la tipicità dei reperti rende difficile pensare a un’epoca antecedente il XII secolo” (quando invece in quel periodo l’età nuragica, come è noto, è nella sua maturità, pervenuta dopo diversi secoli di sviluppo). L’analisi semantica del testo non può che sottolineare l’approssimazione della trattazione, il restare sul vago, sui generis. Il testo non parla dell’inizio della civiltà nuragica che data, con la cultura di Bonnanaro, agli inizi del II millennio a.C., in continuità, peraltro, con le precedenti culture, ma resta indeterminato: “Nel II millennio a.C.”. Come a dire, potrebbe anche essere verso la fine del millennio, chissà, meglio non dire troppo. Ma il testo, nella sua prosecuzione, insiste sullo stesso tenore. “Le genti di questa regione costruirono tra i secoli XI e VII a.C. possenti strutture architettoniche… avevano probabilmente uno scopo difensivo. (…).” Le datazioni. Il cruccio di ogni visione riduzionista della storia nuragica. Qua viene indicata una data talmente tarda, che in realtà, in quell’epoca, da tempo i nuraghi erano tutti costruiti. Riprende poi, nel riquadro, l’ipotesi della ragione difensiva delle “fortezze”. Una indebita semplificazione, che finisce per comparare edifici dalla complessa funzione e dalla pregnante simbologia a semplici torri di guardia. Ancora più sconcertante, tuttavia, è la chiosa conclusiva. Infatti si legge, in contraddizione con quanto scritto finora, che “la civiltà nuragica conobbe il suo momento di massimo splendore a partire dal 1200 a.C., poi iniziò a decadere progressivamente, fino a perdere ogni caratteristica originale e a dissolversi dopo la conquista della Sardegna da parte dei cartaginesi avvenuta nel secolo VI a.C.” In pratica, nel finale si riporta all’indietro nel tempo, nuovamente, la civiltà nuragica, pur nella sua tardissima interpretazione, con una curiosa e incomprensibile capriola acrobatica, che confonde date e periodi storici tra loro, in contraddizione con quanto appena scritto. Naturalmente, la civiltà nuragica viene fatta sparire. Non deve lasciare traccia nella storia. Come interpretare questi passi sulla civiltà nuragica in un libro di testo liceale? Forse ci può aiutare, per capire, il paragrafo successivo, che titola, in maniera curiosamente perentoria e categorica: “La prima grande civiltà italica è quella degli etruschi”. Notare bene la sottolineatura. Non recita, il titolo, “gli etruschi, prima grande civiltà italica”, come sarebbe logico, ma inserisce, nella semantica del messaggio, la sottolineatura “è quella”, come ad escludere tutte le altre, cioè la civiltà nuragica. Per fare questo, data l’inizio della civiltà etrusca che, si sostiene, essere emersa prepotente nel IX a.C. E però le più antiche iscrizioni in lingua etrusca sono del 690 a.C. In quell’epoca, nel IX sec. a.C., in realtà, siamo ancora all’inizio dell’età villanoviana. Naturalmente, non una parola sull’influenza, ampiamente dimostrata, della civiltà nuragica su quella etrusca. Il libro delle elementari di mia figlia è di un tenore ancora peggiore. Passiamo oltre. Durante la visita al British Museum di Londra, notai un anomalo affollamento attorno ad un reperto. Non è la processione di folla come nella Gioconda del Louvre, tuttavia si notava, attorno a quella teca al centro della sala, una certa ammirazione e agitazione. Era la Stele di Rosetta. La tavoletta egizia con l’iscrizione in tre lingue antiche, geroglifico, demotico e greco, che aveva consentito di decifrare il geroglifico e che campeggia, come illustrazione, in quasi tutti i libri di scuola di ogni ordine e grado del pianeta. É l’importanza della conoscenza. Se a scuola non avessero insegnato l’importanza di quello straordinario reperto, non sarebbe considerato uno dei pezzi più pregiati di uno dei più importanti musei del mondo, e non avrebbe scatenato quell’interesse, quell’affollamento di occhi e fotografie. La gente riconosce l’importanza delle cose grazie alla conoscenza. E con la gente si muovono gli interessi, politici ed economici. Senza conoscenza, che inizia dalla scuola, tutto cade nell’oblio, e nell’oscurantismo.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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