Ma credevate sul serio che il pericolo per l’ambiente della Sardegna fossero i miasmi della Saras, il cemento sulle coste, la devastazione dell’entroterra causata dalle cave di granito, le schifezze sparate nei troppi poligoni militari dell’isola, l’invasione del fotovoltaico che toglie terra a coltivazioni e vocazioni? Ma come siete ingenui! Il vero rischio, per la natura della Sardegna, sono le biciclette. Per essere precisi, le mountain bike che i ciclisti nuoresi cavalcano sui sentieri dell’Ortobene. Lo denuncia L’Unione Sarda del 5 aprile, in un articolo che riporta alcune dichiarazioni del responsabile della competente stazione forestale. Per sintetizzare, la salute del Monte Ortobene sarebbe a rischio proprio per la sempre più infestante presenza delle biciclette, il cui numero cresce in proporzione con il diffondersi di questa pratica offroad. I ciclisti aprono nuovi sentieri, sporcano, sfrecciano rischiando di travolgere escursionisti pedestri, lasciano tracce vistose e antiestetiche del loro passaggio. Fuori di paradosso, attribuire ad un mezzo a pedali un rischio ambientale è come annoverare le flatulenze tra le cause del surriscaldamento del pianeta Terra: magari concorrono al problema, ma non certo in misura decisiva. I ciclisti nuoresi, sorpresi dalle accuse mosse nei loro confronti, hanno deciso di replicare. Pacificamente, come si addice a chi fa dell’armonia col mondo la prima regola, ma con decisione e sdegno. Il 29 di aprile, alle 10, tutti gli amanti della bicicletta della Sardegna si incontreranno davanti al municipio di Nuoro, per far presente che la comunità delle due ruote silenziose non è un pericolo per la natura. Al contrario, con i loro raduni e le loro gare domenicali, i patiti del pedale restituiscono vita e attenzione e campagne spesso trasandate, ripulendole non solo dalle discariche ma anche dal disinteresse e dall’abbandono. Senza mai ricevere un grazie, ovviamente, e anzi sudando sette camicie per farsi concedere permessi ed autorizzazione per poter celebrare confronti agonistici e non. Il raduno del 29 si configura come un flash mob. Ogni ciclista indosserà una maglietta bianca con un messaggio provocatorio. Per far presente che non possono essere le biciclette il capro espiatorio su cui far ricadere le colpe di – cito dall’appello dei bikers – “inquinamento elettromagnetico, discariche abusive anche di materiali pericolosi, bonifiche del tiro al piattello mai fatte, tagli indiscriminati di legname, abusi edilizi, edifici pubblici abbandonati, in rovina o costruiti fuori norma, bracconaggio, sorgenti inquinate, impianti fognari mai completati”, mali che evidentemente affliggono l’Ortobene e appaiono molto più seri delle tracce lasciate dalle mountain bike. Il flash mob del 29 aprile ha un significato politico, perché il movimento delle biciclette sarde ha capito di poter essere esso stesso soggetto politico e, dunque, di doversi accollare un ruolo critico. In un momento in cui gli investimenti per la rete ciclabile aprono nuove prospettive anche sul fronte turistico, le bici potranno diventare una nuova ed importante forma di economia. E naturalmente noi sardi cerchiamo di demonizzarla. Tanto poi troveremo qualcuno cui addossare la colpa dei nostri fallimenti. (Nella foto, una gara di mountain bike a Monte Moro, in Gallura).
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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