È probabile che i sardi soffrano un po’, in quanto isolani, di una sorta di sindrome “sardo-centrica”. L’effetto più interessante di questa sindrome è una sorta di pendolo che oscilla, e che divide la cultura sarda in due opposte fazioni, ben polarizzate, che possiamo semplificare con l’appellativo di “colpa loro” e “colpa nostra”. Con le opposizioni si ragiona meglio, direbbe Claude Levi-Strauss. La fazione “colpa loro”, in genere, si accompagna, spesso, al sentimento anti-italiano. L’Italia è causa di tutti i mali, passati, presenti e futuri. Non che non ci sia del vero, come io stesso ho sottolineato nei miei studi, specificando, però, che questo è il risultato di dinamiche generali, ossia di un sistema mondo che automaticamente prevede la prevaricazione delle aree geografiche più forti nei confronti di quelle più deboli. La fazione “colpa loro” si accompagna ad un vittimismo viscerale, che si alterna ad una sorta di vanagloriosa visione dell’isola, che migliore e più bella non ce n’è. Spesso emerge anche una venatura razzista. Ma, naturalmente, sarebbero loro, gli italioti, o gli itagliani, così definiti, ad essere razzisti, che scrivono male di noi sui giornali continentali e che ci chiamano sardegnoli. E, naturalmente, non può mancare la retorica anti-statale. Come scrisse il grande sociologo francese Bourdieau “La visione critica dello Stato è spesso accettata senza ulteriori discussioni. E’ facile dire cose scontate sullo Stato, in quanto i produttori e i destinatari sul discorso sullo Stato, per posizione o per tradizione …, manifestano spesso una disposizione un po’ anarchica alla rivolta socialmente istituita contro i poteri.” A questa visione si contrappone la fazione “colpa nostra”. Una visione fustigatrice del proprio, una sorta di razzismo alla rovescia che vede i sardi colpevoli di tutti i torti possibili ed immaginabili e assolutamente protagonisti del loro destino sfortunato ma, in definitiva, meritato. In questo caso sopravvive, da tempo immemore, lo stereotipo che la “Sardegna non è in grado di governarsi da sola”, dimenticando che i periodi di maggiore crescita economica, sociale e culturale della storia sarda sono stati quelli in cui era indipendente, com’è stato il periodo giudicale del medioevo. In questo caso la vergogna indotta dai centri di potere egemonico, il lievitare del complesso di inferiorità, producono l’effetto contrario a quel vittimismo e a quella vanagloria. La colpa è dei sardi, della loro conflittualità, della loro cronica incapacità imprenditoriale e delle loro scadenti classi dirigenti. Immancabile, poi, l’individualismo dei sardi. Che ancora, da antropologo, tra gestione comune delle terre, mannalia, ed altri istituti tradizionali solidali, devo capire dove accidenti si trovi. La visione “colpa nostra”, è l’esito dilagante dei paradigmi economicistici e della sudditanza psicologica nei confronti dei paesi economicamente ricchi. E’ figlia di un pensiero dominante, mainstream, mercantile, che Karl Polany descrive bene nel suo “La grande trasformazione”. Come in tutte le cose le opposizioni si polarizzano, finendo, peraltro, per creare un circolo vizioso all’interno del mondo culturale, il quale, a mio parere, si manifesta tra le altre cose nell’annosa diatriba tra cause esogene e cause endogene del mancato sviluppo sardo, ridotta a due radicalizzazioni oppositive, di natura esterna o interna. Queste opposte tensioni hanno finito per polarizzare tematiche, come ad esempio la globalizzazione, che non possono spaccarsi in due come una mela. La complessità della questione sarda esige che cause endogene ed esogene vengano concepite come difficilmente indistinguibili, intrecciate, poste in un rapporto di causa e di effetti vicendevoli all’interno di un sistema mondiale correlato. Infatti, è corretto suggerire che le grandi dinamiche mondiali, come possono essere, ad esempio, i processi di ristrutturazione del capitale finanziario, possono essere governati solo entro certi limiti a livello locale. Si aggiunga che dentro questi grandi processi, anche l’emergere delle classi dirigenti, specie nelle aree geografiche subalterne, risulta pesantemente condizionata. Nelle realtà post-coloniali questo fenomeno è evidente con l’emergere dei cosiddetti governi fantoccio, frutto di sfrontate ingerenze dei paesi coloniali nelle questioni interne di quei paesi. Nella politica regionale italiana ed europea tali dinamiche sono meno evidenti ma, in proporzione, rispondono alla stessa logica. Insomma, il vero limite dei sardi è, a mio parere, non riuscire a ragionare fuori da quel pendolo. Una volta che si entra in giostra, infatti, non è facile uscirne fuori, perché si viene catturati nella diatriba, che ha implicazioni anche politiche, e ci si radicalizza. Colpa nostra, no, colpa loro. Invece, fuori da quella visione così obbligata, c’è tutto un mondo meraviglioso da scoprire e da capire. Anche nel vero interesse e per il bene dei sardi.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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