Quando ho visto la signora con la cornetta del telefono in mano che parlava in maniera disinvolta non ci ho fatto molto caso. Era una scena naturale. Poi, riflettendoci e osservando meglio la scena, mi sono reso conto che la signora utilizzava un telefono pubblico, quelli ricoperti da un grosso guscio in plexigas, nel centro di Cagliari. Era come ritrovarsi dentro un vecchio film con dei colori decisamente “vintage”, in una mattinata dolcissima di fine estate del 2016. Dove, davvero, nessuno utilizza più la cabina telefonica, anche perché sono praticamente sparite. Rivedere la signora che con doti affabulatorie ed un accento magnificamente cagliaritano si intratteneva al telefono, è stato come ritornare indietro di qualche anno in questo mondo dove anche il trascorrere di qualche mese sembra diventare il passaggio verso un’altra era geologica. Avrei voluto chiederle dove aveva reperito la famosa scheda telefonica anche perché dubito potesse utilizzare il vecchio gettone telefonico che ci ha tenuto compagnia per molti anni a noi adolescenti, diventando anche moneta contante: prima cinquanta, poi cento e infine duecento lire. Un gettone bastava per parlare con qualcuno all’interno della tua rete urbana senza nessun prefisso telefonico. Qualche gettone per le telefonate fuori città e moltissimi gettoni – invece – erano destinati per quelle telefonate tra la Sardegna e il continente. Quante file davanti alle cabine grigie e con un odore intenso e unico in tutti i luoghi. Quella puzza di sudore mista agli attimi di attesa, alle imprecazioni per la velocità con cui quei gettoni cadevano: voraci e assolutamente sordi alle nostre preghiere. Le telefonate, allora, erano l’unico vero modo veloce di comunicare, ma si doveva imparare a dosare le parole, prepararsi il discorso, provarlo e riprovarlo. Il tempo si dosava dal numero dei gettoni che cadevano sino a quando l’avviso perentorio dell’ultimo gettone ci riportava al panico e alla disperazione. Quella telefonata volgeva al termine e se non era stata presa la decisione si ritornava a casa affranti e depressi. Quante discussioni chiuse all’ultimo gettone senza la possibilità di replicare o di gioire. Quanti baci repressi e quante stupidaggini risparmiate grazie al gettone che concludeva la conversazione. Qualcuno riusciva a dosare meglio il tempo, qualcun altro ci marciava. La telefonata era diventata un’arte. Si risparmiavano i gettoni quanto si parlava con la mamma per poi utilizzarli con gli amici o la fidanzata. A volte si risparmiavano i gettoni con la fidanzata per telefonare alla mamma e chiedere un vaglia in quanto non si avevano più i soldi. I gettoni, i vaglia, le lunghe attese alle cabine e alle poste. Quel tempo che non si riempiva con nessun telefonino o social da utilizzare “nel mentre”. Quel tempo era il dolce far niente, attesa nervosa e utile per ottenere il posto in cabina ed effettuare la telefonata. Quella cabina ermetica, che ci si chiudeva come un frigorifero e dove si sudava in maniera vergognosa, perchè nessuno doveva sentire i nostri sospiri e i nostri “trottolini amorosi” tra un gettone e l’altro. Quando ho visto la signora con la cornetta del telefono in mano, stamattina, al centro di Cagliari, l’avrei voluta abbracciare. Lei, per me, è il personaggio del giorno. Un giorno speciale trascorso a sorridere del passato, a contare gli spiccioli di euro in tasca ed immaginare che fossero tantissimi gettoni con il solco in mezzo. Bei tempi, lenti e dolcissimi. Sembrano passati secoli ed invece sono solo piccoli ricordi nascosti dietro l’angolo. Un angolo sbiadito, fotocopia di un’esistenza. Poi, come d’incanto, la signora non c’era più. Aveva terminato i gettoni. Forse.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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