Per mesi ho aspettato la pioggia, scrutando le previsioni. Avrei dovuto meglio dire scrutando il cielo, che è più bello. Ma la verità è che il cielo non lo scruta più nessuno. Per mesi ho aspettato la pioggia, dopo due anni di siccità come non si vedeva da 30 anni. Per mesi ho aspettato la pioggia come fanno ormai solo le poche persone che ancora presidiano le campagne, oltre agli operatori dell’antincendio. Il fuoco, quest’anno disgraziato, camminava nei terreni riarsi come saponette in una pista di ghiaccio. Ma la gente non pensava alle fonti secche, ai pozzi prosciugati, ai laghi artificiali infangati. No. Alla gente piace rilanciare le teorie giornalistiche dei complotti, dei grandi interessi, l’industria del fuoco, il terrorismo. La speculazione edilizia, anche in quei paesi dell’interno dove le case te le tirano dietro. Alla gente piace trovare un colpevole. Ma la siccità, come colpevole, non funziona tanto. Anche perché, se proprio c’è una colpa nella siccità, come è vero che c’è, eccome, è un po’ anche colpa di tutti, è anche un po’ colpa nostra, che i cambiamenti climatici hanno a che fare con lo stile di vita di tutti. L’acqua nei rubinetti, ormai, c’è sempre. La siccità non è più in grado di interrompere il flusso continuo dell’approvvigionamento idrico familiare. Per cui, la siccità, non è cosa che ci riguardi più di tutte le altre cattive notizie della televisione. Una volta l’uomo scrutava il cielo. Se la pioggia tardava un po’, l’uomo si preoccupava. Non aveva molti mezzi, l’uomo di una volta. Danzava, cantava, faceva dei sacrifici, dei riti magici per farla giungere. Oggi l’uomo ha perso il senso del ciclo naturale delle cose. Non sa più nulla del ciclo dell’acqua, come delle stelle che roteano nel firmamento. L’acqua non viene più invocata, e la pioggia non giunge. Tra le manifestazioni più evidenti della perdita di contatto con la natura dell’uomo moderno, c’è la distanza, l’apatia con cui si considerano i capricci del clima. Forse, ho pensato, la pioggia è davvero dispettosa, si sente trascurata, e si fa desiderare all’ignavia dell’uomo moderno. Per mesi ho desiderato la pioggia. Ed è arrivata l’altra notte. Mi sono sciolto, finalmente, in un sonno profondo dopo aver vegliato, per sicurezza, qualche ora. Per qualche ora ho vegliato per assicurarmi che quel suono, quel ticchettare sul tetto e sui vetri fosse pioggia, di quella vera, di quella che solo i cumulonembi di settembre portano. Solo un po’ di inquietudine. Perché quelli che comunemente chiamiamo cambiamenti climatici, con il sollevamento della temperatura, oltre a far arrivare i branchi di barracuda e il velenosissimo pesce palla nel nostro mare, ci porta questi acquazzoni che, ormai, assomigliano sempre più a quelli tropicali. Innocui acquazzoni, si potrebbe dire, se non fosse che le nostre strade e le nostre case non sono state pensate per loro. Ai tempi in cui la speculazione edilizia, quella vera, si è scatenata, nessuno ha pensato ai cambiamenti climatici, all’effetto serra, al buco nell’ozono. E così i capricci del clima sono il semplice riflesso della nostra ignavia, della nostra vita chiusa tra quattro mura mentali. Si passa dalla siccità ai nubifragi, nel giro di un giorno. L’uomo di oggi ha spaccato in due il mondo. Non c’è più equilibrio, tutto è diviso in due, in opposizioni sempre più radicate. La vittima e il colpevole, il buono e il cattivo, il bello e il brutto, tutto viene semplificato e ridotto ad opposizioni nette, categoriche, come cultura moderna, binaria, della superficialità e della fretta ossessiva, pretende. Il mondo che vogliamo è dunque questo. Un mondo dove il ciclo naturale delle cose viene spezzato in una linea retta che ha due poli opposti, uno negativo e uno positivo. E tanto abbiamo fatto, come essere umani, che questa nostra concezione astratta di vita, siamo riusciti ad imporla al resto del pianeta, rendendola reale. Da un capo all’altro di quella linea retta, ci sono le due opposizioni. Da un lato sta la siccità, dall’altra i nubifragi.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo.
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