Una volta la combinai grossa. Facevo il giornalista più da pochi mesi che da pochi anni. Giudiziaria, soprattutto, che è una cosa che ti fa crescere in fretta sul piano professionale ma in quanto ad affinarti il senso delle convenienze neppure quella è sufficiente, ci vogliono decenni di esperienza. E fu così che qualche giorno dopo avere pubblicato un ruolo della Corte d’Assise dove l’ottanta per cento dei processi erano relativi a fatti e imputati dello stesso paese che qui chiameremo Nonlosò, il capocronista mi disse che l’indomani, visto che Palazzo di Giustizia era chiuso, avrei occupato il mio tempo seguendo la Cavalcata. Feci una magnifica cronaca con le cose originali della festa dei colori, della sfilata delle tradizioni sarde, dei centomila alla Cavalcata eccetera. E arrivato al paese in questione scrissi: “Ed ecco arrivare nei loro antichi, magnifici costumi i rappresentanti di Nolosò, che per una volta sfilano davanti a un pubblico entusiasta e non ai giudici della Corte d’Assise”. Ah ah, che ridere. Quando uscì il pezzo, i commenti degli abitanti di Nonlosò si sarebbero potuti sintetizzare nel concetto che non mi sparavano per non sottrarre piombo a cause più nobili, ma che se fossi capitato da quelle parti qualche calcio in culo me lo avrebbero somministrato volentieri. Però al di là dell’infelice battuta (ohé, a distanza di una quarantina d’anni io continuo a sostenere che se la gente fosse un po’ meno suscettibile in fondo la battuta era carina) il dibattito nei giorni successivi prese una piega interessante. Ed ecco cosa c’entra Roberto Saviano. Infatti ci furono alcuni uomini politici che commentarono che non era una questione di buon gusto, ma di approccio ai problemi. Cioè non ce l’avevamo in particolare con me, ma con la Nuova che parlava di sequestri, omicidi e violenze varie offrendo un’immagine distorta della Sardegna anziché parlare soltanto delle magnificenze della Costa Smeralda e dell’impulso all’occupazione costituito dalla Sir. Ora, essendo il giornale appunto proprietà della Sir, questi critici avrebbero potuto avere buon gioco, ma per fortuna furono mandati affanculo dagli stessi vertici del giornale. Io però, ancora inesperto e ignaro dei tortuosi ragionamenti di certa politica, ci rimasi male perché vedevo che sequestri, omicidi e violenze varie ce n’erano davvero tanti, pensavo che giudici e carabinier e poliziotti in certi momenti sembravano soldati al fronte lasciati soli dai loro ufficiali e che compito di noi giornalisti era quello di raccontare la realtà per aiutare a cambiarla. Ecco, penso quindi a come ora ci rimanga Saviano a vedere che il ragionamento del “non esiste” continua a esistere su faccende come camorra e mafia, senz’altro più terrificanti e distruttive della criminalità sarda, che pure non scherzava e ancora non scherza. E allora vi invito. Quando qualcuno comincia a insinuare che ci sono i professionisti dell’antimafia, che c’è gente che si fa i soldi e si costruisce un’immagine spargendo allarmi inesistenti sulla criminalità organizzata, mettete mano alla pistola del dubbio, quantomeno. Io, dal canto mio, metto mano a quella della certezza. La certezza del contrario di ciò che dicono questi benpensanti eredi di quelli che cose così le dicevano anche di Falcone e Borsellino.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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