Alla fine dell’udienza un giudice mi sussurra: “Da questa storia bisognerebbe scriverci un libro”. Ieri ero al tribunale di Tempio e per puro caso ho assistito all’udienza di un processo per truffa: una storia che, l’avessi sentita al bar e non raccontata da testimoni e avvocati, avrei creduto essere una panzana. Il principale imputato è un tale Lucio Camozza, oggi 65enne, originario del lecchese ma a quanto pare residente in Costa Smeralda. Se cercate in rete, troverete il suo nome nelle cronache giudiziarie dei giornali di tutta Italia, oltreché lui in carne ed ossa in una vecchia puntata del Maurizio Costanzo show: Camozza passa per uno che raggirava le vedove, incantandole col suo charme da maturo tombeur de femmes per poi chiedere loro del denaro in prestito. Piccoli patrimoni che poi, secondo le accuse, non sarebbero mai stati restituiti alle titolari, sedotte e abbandonate dal corteggiatore non prima di averlo abbondantemente foraggiato. Dall’udienza di ieri, però, del personaggio e delle sue vittime mi sono fatto un’idea un poco diversa, distante dal ritratto stereotipato rintracciabile negli archivi dei giornali. Tanto per iniziare, due dei tre testimoni erano uomini, il che rende in un certo senso giustizia al Camozza: il suo non fu solo fascino virile. La prima teste, una signora sulla sessantina con un grave handicap fisico, ha fornito indicazioni in linea con l’identikit di Camozza: lo conobbe alla fine degli anni novanta, venne assediata con un corteggiamento assillante fino a cedere alle sue lusinghe e poi, intenerita dalle difficoltà economiche che lui le aveva confessato, la donna gli aveva ceduto tutti i suoi risparmi e aveva contratto prestiti per decine di milioni di lire, arrivando persino a chiedere aiuto in famiglia per ottenere dalle banche le somme richieste dall’uomo. Infine, la signora innamorata aveva scoperto che il bel tenebroso aveva una compagna ufficiale, probabilmente all’oscuro dei traffici del convivente. Lui, per farsi perdonare, alcuni anni dopo le aveva fatto trovare sotto casa un’utilitaria, che però non era stata mai pagata.
Camozza, però, sarebbe riuscito ad ottenere denaro anche da uomini: il racconto di due piccoli imprenditori del bergamasco lo conferma. Il primo sostiene di avergli messo in tasca 150 milioni di lire per partecipare ad un presunto investimento immobiliare in Costa Smeralda; il secondo, dirigente di una squadra di calcio (di cui poi Camozza riuscì incredibilmente a diventare vicepresidente), era addirittura andato oltre, affidandogli circa 280 milioni di lire e finendo poi a sua volta sul lastrico. Soldi mai tornati al mittente, asseriscono anche in questo caso i testimoni. Potrà sorprendere, ma le tre persone sentite ieri in tribunale mi sono sembrate tutt’altro che sprovvedute: si esprimevano in perfetto italiano, per quel che può significare, e non erano nuove ad investimenti affidati a broker di fiducia. Che cosa, allora, le spingeva ad affidarsi “all’incantatore” (definizione di uno dei testimoni)? Tutte e tre hanno fornito un dettaglio che può apparire secondario e, invece, forse non lo è: Camozza si presentava agli appuntamenti su una Ferrari. E bastava quello status symbol a porlo al di sopra di ogni sospetto, a fugare in partenza ogni dubbio sulla sua credibilità. Una storia che rappresenta fedelmente una certa Italia, sempre disponibile ad essere presa in giro.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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