Nel suo post sull’aeroporto di Alghero, Cosimo Filigheddu ha parlato delle priorità sbagliate del territorio sassarese e di emergenze che, invece, scivolano via nell’indifferenza della città capoluogo, delle comunità e della sua classe politica.
Ha anche scritto, Cosimo, che in Gallura la classe dirigente dimostra maggiore compattezza e sa rappresentare adeguatamente il territorio, quando si tratta di difenderne certi irrinunciabili interessi. Da gallurese mi piacerebbe se fosse davvero così. Ma sarà davvero così?
Chiunque pensi alla Gallura, pensa nello stesso momento alla Costa Smeralda. Anche se la Costa Smeralda è quotidiano oggetto del dileggio da parte di chi non ce l’ha, i numeri dicono che si tratta di un’azienda (ci sarebbero volute le virgolette) che ha resistito agli umori del tempo per oltre mezzo secolo e ancora continua a produrre reddito e benefici d’immagine alla Sardegna.
Solo che il suo spirito originario è stato tradito e le sue potenzialità, in termini di ricadute per il territorio, restano per larga parte inespresse. E se questo sta accadendo nel silenzio di tutti, significa che forse anche in Gallura certe priorità non sono così chiare.
A cosa alludo? Non alludo, dico chiaramente che un progetto nato negli anni sessanta come Piano di sviluppo integrato (ficchiamocelo in testa: non era una semplice speculazione immobiliare ma un progetto per coinvolgere tutte le culture del territorio) non può produrre stagioni che durano appena tre mesi, con alberghi che aprono a giugno e chiudono a settembre.
Una volta, le stagioni iniziavano prima di Pasqua col Rally della Costa Smeralda e finivano ad ottobre con le regate, cosicché gli stagionali del comprensorio avevano contratti di almeno sei mesi. Gli alberghi dell’Aga Khan avevano più dipendenti che posti letto, per avere un’idea della proporzioni. Non perché l’Aga Khan facesse beneficenza, ma perché reputava gli investimenti sul personale una condizione necessaria a garantire un futuro radioso alla sua impresa turistica.
Questo bastava per vivere dignitosamente a chi viveva di turismo, questo bastava per restare in Sardegna senza andare a cercare un ingaggio dall’altra parte del mare, magari in un rifugio alpino. Per carità, le esperienze lavorative altrove sono importanti, ma nessuno dovrebbe essere obbligato ad emigrare per la sopravvivenza.
Ora le stagioni sono dimezzate e inesorabilmente si riducono di anno in anno. E nessuno fa niente, secondo uno degli slogan preferiti dalla nuova contestazione su Facebook.
Ma se le multinazionali che gestiscono gli alberghi scelgono stagioni così brevi – finendo col trascinare sullo stesso andazzo anche alle strutture dell’indotto – e nessuno dice nulla, debbo concludere che forse questa attenzione per le potenzialità del territorio non è così sviluppata. A fine stagione, i manager elencano nella conferenza stampa di rito i fatturati e il numero di dipendenti assunti, ma mai la durata dei contratti offerti a questi lavoratori. Andate a parlare con i facchini, con i camerieri ed i barman per capire quale sia il loro malcontento, parlate con i ragazzi delle scuole alberghiere per comprendere quanto sia difficile il loro ingresso nel mondo del lavoro e quanto la formazione rischi di servire a poco.
Però chi fa turismo per professione non ha tutte le colpe. Chi fa turismo, prende atto del mercato.
Se la classe dirigente della Gallura, in mezzo secolo, non ha saputo consolidare un’immagine appetibile del territorio anche oltre i tre mesi di massa, se ha continuato a blaterare di allungamento della stagione senza far nulla di concreto, ecco, i risultati non possono che essere questi.
Per i prossimi due anni di queste lacune ce ne dimenticheremo, perché la psicosi da terrorismo ha messo in ginocchio le destinazioni a rischio del Mediterraneo, riportando flussi generosi verso la Sardegna.
Ma la carenza nella programmazione tornerà al centro dell’attenzione, quando le acque si calmeranno. Faccio solo un esempio, dimenticato da tutti: il Sistema turistico locale. Era quell’ente, istituito da una legge del 2001, che introduceva una programmazione turistica territoriale, per cui l’evento organizzato nella località X per la data Y avrebbe comportato la partecipazione di tutte le comunità della Gallura, riducendo le conflittualità e favorendo la collaborazione, rafforzando insomma l’immagine del territorio. Che ne è stato del Sistema turistico locale? Lasciato morire dopo pochi anni di nulla. Per egoismi, per disinteresse, per nessuna lungimiranza, perché non c’erano indennità di carica. Esattamente come la Provincia Gallura (che però le indennità di carica le riconosceva). Per la quale Provincia i politici galluresi minacciarono non più di 15 anni fa le barricate – come fosse un referendum per l’indipendenza indetto da comunità ridotte in schiavitù – salvo poi farla morire nel disinteresse generale. Caro Cosimo, qua le cose non vanno meglio che da voi. Le campagne elettorali le si vince ancora pagando le bollette della luce e promettendo lavoretti e raccomandazioni, senza progetti a lungo termine di politica vera.
Questo, del resto, chiede il mercato del voto, che non è molto diverso da quello turistico.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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