Se avete visto Narcos, la serie capolavoro di Netflix che racconta l’epopea criminale di Pablo Escobar in Colombia, l’assassinio del cinquantenne giornalista messicano Javier Valdez non può lasciarvi indifferenti. Se non l’avete vista, dovete immaginare una realtà spietata, dove bande di assassini senza scrupoli né parvenze di pietà combattono per contendersi i proventi del traffico della droga. Montagne di denaro sporco servono per acquisire potere, comprare giudici, politici e giornalisti. Chi non ci sta, muore.
Javier Valdez è stato ucciso come un cane, a mezzogiorno. Aveva da poco lasciato la sede della rivista “Riodoce” che aveva fondato nel 2003 a Culiacan, nello stato di Sinaloa, base dell’omonimo e famigerato cartello, per tornare a casa dalla sua famiglia. La sua auto è stata affiancata da quella dei sicari. Hanno costretto Valdez a scendere e hanno sparato tredici volte.
Il titolo del suo editoriale su Riodoce, “Malayerba”, era tutto un programma. Valdez sapeva benissimo di rischiare la vita. Nel 2009, subito dopo la pubblicazione di un’inchiesta, i narcos lanciarono una granata all’interno della sede del suo giornale. Ma aveva scelto di continuare la verità. “Fare il giornalista qui – diceva – è come percorrere una linea invisibile tracciata da brutta gente che si trova sia nel narcotraffico che nel governo”.
Javier Valdez è il sesto giornalista ucciso quest’anno in Messico. Lo scorso anno ne sono caduti undici. Qualche giorno fa, sette reporter sono stati picchiati e derubati da un centinaio di uomini armati, a sud di Città del Messico. Il 23 marzo scorso, Miroslava Breach, 54 anni, giornalista de “La jornada”, è stata assassinata da un killer davanti alla sua abitazione di Chihuahua. Otto colpi di pistola davanti al figlio che stava per accompagnare a scuola.
Dopo l’omicidio di Miroslava Breach, il quotidiano“Norte” di Juarez, con il quale la giornalista aveva collaborato, ha chiuso i battenti. L’editoriale dell’ultimo numero di “Norte”, intitolato “Adios!”, riportava queste parole: “tutto nella vita ha un inizio e una fine, un prezzo da pagare. E se questo prezzo è la vita, io non sono pronto a farlo pagare ad altri miei collaboratori e nemmeno a me stesso”. Il Messico, secondo l’organizzazione Reporter senza frontiere, è il paese con il maggior numero di omicidi di giornalisti dopo Siria e Afghanistan. Omicidi che, nella maggior parte dei casi, non hanno colpevoli.
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