“SQUILLO è un nuovo gioco di carte dallo spirito estremo e divertente!” dice orgogliosamente la presentazione.
Un gioco di società, possibilmente da non inserire tra quelli che riuniscono la famiglia durante le feste natalizie, ma dove i giocatori ricoprono il ruolo di sfruttatori di prostitute. Ognuno ha a disposizione una vasta scelta di ragazze, divise in categorie: escort, prostitute di strada e giovani promesse, la cui caratterizzazione va individualizzata aggiungendo le particolarità, tipo parcella e ricavato finale, senza escludere la vendita dei loro organi. Il traguardo è rappresentato, governando a dovere le proprie squillo, dalla sconfitta del “pappone” avversario. Dopo il successone della prima edizione, che narrava le avventure di Analia, altre tre versioni hanno sbancato sul mercato: Bordello d’Oriente, Squillo Pappa e Megere e Meretrici.
Qualcosa di non dissimile da un film hard o da tanti svaghi licenziosi presenti sul mercato, apparentemente.
Invece, entrando nel sito, si scopre che è un gioco (sebbene destinato a un pubblico adulto) pericolosissimo e oltraggioso per le donne. Una realtà dipinta con giocosa leggerezza all’interno della quale tutto è permesso, anzi vivamente consigliato, perché strumentale alla vittoria. Ammazzare le donne e vendere i loro organi per fare cassa; riempirle di droga per renderle più disinibite e sbaragliare la concorrenza e altre violenze col medesimo peso specifico.
E se eravamo rimasti alle donne discinte dei messaggi pubblicitari, spesso con nemmeno tanto velati sottintesi maschilisti, siamo passati allo step successivo dove, oltre al sessismo più becero, vengono sdoganati anche i reati. Non si tratta “semplicemente” dell’immagine della donna propinata in modalità discriminatoria e sessista, che sarebbe già abbastanza deprecabile, ma di rappresentazioni che, ammantante di finalità ludiche, diventano un’arma pericolosissima per indurre comportamenti psicopatici.
Donne ancora e sempre rappresentate come oggetti, vittime dell’apparenza snaturata prodotta dagli schemi del consumismo, degradate ulteriormente in un gioco da tavola che le trasforma in “una cosa” contro cui infliggere comportamenti aggressivi che arrivano fino al delitto e alla vendita di organi.
Ma se si può guardare con un occhio flessibile il creatore di questo gioco, il cui estro s’è mosso perché motivato dal guadagno, non si può ignorare che il problema è sostanzialmente culturale. In fin dei conti la produzione risponde a quello che il mercato vuole.
È questo l’aspetto davvero preoccupante.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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