Ma avete qualche dubbio sul fatto che il personaggio del giorno sia Maurizio Crozza? Io dopo che ho visto Padoan dire all’intervistatore (con tanto di giustificazione scritta della madre) “ieri non ho potuto studiare perché ero a judo”, non ho più esitato: subito tra i grandi, insieme a gente come Woody Allen o Gigi Proietti e a tutti quelli che riescono a farvi ridere in maniera assoluta. Crozza è ufficialmente tra gli artisti per i quali il riso non è la smorfia trattenuta di Eduardo De Filippo ma la valanga liberatoria di suo fratello Peppino. Ed è anche le fulminanti situazioni da palcoscenico di Georges Feydeau, l’assurdo di matrice filosofica di Beckett, Ionesco, Pinter e Vian miscelato in uno squisito cocktail con quello borgataro di Ettore Petrolini. E scusate per la raffica di citazioni, sono certo che se lo stesso Crozza dovesse leggere questo pezzo sarebbe il primo ad incazzarsi: “Belin, ma che vai rovistare? Io sono io e basta”. Il fatto è che ormai io Crozza lo seguo come fossi a teatro e il teatro è un rimando infinito di riferimenti e di suggestioni. Teatro perché Crozza ha superato da tempo la soglia massima del pur nobile e difficilissimo genere della satira. Che non è argomento da scherzarci sopra. Un attore che sa fare satira politica in maniera praticamente totale e senza mai gonfiarti i coglioni è senz’altro un genio. Ma Crozza secondo me ha varcato questo limite entrando nel mondo della drammaturgia pura, con grande sapienza di autore e di attore. Il salto, secondo me, è avvenuto ormai da qualche anno in una serata ingiustamente sottovalutata del suo spettacolo. Quella in cui per la prima volta uno stanco Ingroia all’intervistatore che gli chiedeva di esporre il suo programma politico rispose: “Adesso?”. Crozza non imita. Crozza crea. La sua macchina teatrale formata da oltre cinquanta collaboratori in costante fibrillazione, primo dei quali il bravo Andrea Zalone, destruttura ogni personaggio eletto per il repertorio e lo ricostruisce in un contesto da palco in cui i tratti originali non sono più intimi tratti psicologici, ma espedienti scenici. Insomma, Crozza è uno che succhia l’anima alle sue vittime. E’ Nosferatu ma non fa paura, fa ridere da matti. E’ il baccello gigante dell’ “Invasione degli ultracorpi”, quel capolavoro dei B-Movie anni Cinquanta dove gli extraterrestri riproducevano gli umani in certi grandi gusci ed eliminavano gli originali. E in effetti anche Crozza elimina gli originali: ditemi voi se quando Ingroia, Razzi, Mattarella, Briatore o ultimamente lo stesso Renzi vi sono capitati sott’occhio non avete badato più a scrutarne i caratteri del duplicato crozziano che a sentire quello che avevano da dirvi. Io, tra me e me, qualche volta mi sono sorpreso a criticare Sorrentino, lo chef vegano (che esiste davvero) o Mentana pensando: “No, questo non lo fa bene”. Capito? Criticavo quei poveretti perché manifestando se stessi non sempre riuscivano a imitare bene il loro doppio. Nella sua efficace concezione basica dell’immagine pubblica, secondo me questo lo ha capito bene Razzi, il quale sta bene attento in ogni sua apparizione a ricalcare la maschera tra le più applaudite del repertorio di Crozza. Ma è così. In fondo anche Razzi è un genio perché con la scelta di non ribellarsi a Crozza ma di assecondarlo è riuscito nell’impresa che nessun uomo politico aveva mai tentato: passare dall’umorismo involontario a quello volontario, dal ridicolo al comico. Insomma, Razzi imitando Crozza è ridiventato padrone di sé. E il suo duplicato uscito dal baccello di Crozza un giorno avrà la brutta sorpresa di trovarsi davanti all’originale. E sospetto che Crozza se ne sia già accorto e con un sorriso di malcelata simpatia ogni tanto confidi a Zalone: “Quello là ci ha fregati”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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