Erano tutti lì, ieri mattina, col naso appiccicato alla vetrata della scuola e con gli occhi leccavano i quadri di valutazione. L’alito quasi appannava il vetro. Una varietà di stati d’animo così densa che a passarci vicino dovevi trattenere il respiro.
Alcuni sembravano indifferenti. Può darsi fossero quelli le cui previsioni coincidevano col risultato. Altri esultavano. Incuranti degli occhi alle loro spalle che avevano la morte riflessa nelle pupille.
Ragazzini costretti a capire che dopo l’inoperosità di un intero anno non si può contemplare un epilogo differente. Ché non è certo possibile premiare il menefreghismo. Accorderanno la giusta collocazione emotiva a quel 4 che, sia chiaro, non è un voto rivolto all’essere umano e non decreta il loro fallimento di persone, ma è circoscritto all’insuccesso nella prestazione scolastica. Un po’ come dire che vai dal medico e lui afferma: – Hai un tumore ma stai tranquillo, è solo un organo quello malato: mica tu. Quindi continua pure a sentirti un individuo in buona salute – E io sfido chiunque, dopo una sentenza simile, a ritenersi sano.
La valutazione – abbiamo studiato – non si deve ridurre a un’asettica attestazione degli obiettivi raggiunti, no, deve tener conto di tutto il processo: il punto da cui lo studente è partito e quello al quale è arrivato. E, ovviamente, più grande è il divario e maggiore sarà il merito.
Quand’anche gli obiettivi non siano stati pienamente conseguiti si può comunque riconoscere, e premiare, l’evoluzione nell’acquisizione delle abilità? Direi di sì. Anzi no, direi di proprio di no. Perché poi la scuola dovrà certificare le competenze spendibili ovunque e mirare a un allineamento degli apprendimenti degli studenti a standard nazionali. Sennò a cosa servono i test Invalsi? E allora che si fa? Ah boh, agite con buonsenso. Quello del “buon padre di famiglia”, per intenderci. Ma la scuola può dispensare promozioni e bocciature a sentimento? Arrangiatevi!
E i maturandi? Quelli da ammettere o non ammettere all’esame di stato? Che facciamo? A Mario quel 5 glielo solleviamo a 6? Ma sì, dài, offriamogli la possibilità di affrontare l’esame. Magari con un’overdose di studio e con la complicità di un po’ di fortuna riesce a diplomarsi. L’abbiamo portato fino alla V e, poveretto, non lo ammettiamo?
Presidente della commissione: – Ma le avete viste le prove del candidato Mario? Quando mai il suo Consiglio di Classe gli dà l’accesso all’esame con queste lacune? I classici docenti che non si assumono la responsabilità di fermarlo prima e lasciano a noi l’incombenza. Facciamo i sicari? –
E intanto loro, gli studenti, restano lì col fiato sospeso ad attendere un risultato che sancisca inequivocabilmente il destino della loro estate. I promossi scanseranno sprezzanti la libreria, prenderanno uno zaino da riempire di costumi e teli da mare per andare incontro al sole. E i bocciati? Per loro quello sarà soltanto un orribile e fottutissimo sole bastardo. Nulla di più.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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