Qualche giorno fa è comparso su internet un video, uno dei tanti che vengono affidati alla rete da mani incaute.
Era una bufala, una delle tante che incautamente la rete divulga. Ma questa è cosa irrilevante. Il fatto che molti internauti ci siano cascati è aspetto marginale e fors’anche meno grave rispetto alla bestialità dei commenti che sono scaturiti dalla visione.
Provo a riassumere per chi se lo fosse perso: riprendeva una mamma che, per punizione, rapava la testa alla figlia colpevole di aver preso in giro una compagna calva a causa della chemioterapia. La donna afferrava la ragazzetta con violenza, la teneva ferma come una pecora da tosare e le passava sul cranio una di quelle macchinette simil-decespugliatore. Poi, incurante delle urla disperate e di quelle piccole mani che cercavano di proteggere la testa, afferrava con soddisfazione i ciuffi di capelli e li lanciava tutt’intorno come trofei.
Durava circa 4 minuti. Quattro minuti di brutalità disarmante.
Ribadisco: era una bufala, ma i commenti non lo erano. Quella mamma lì, una delinquente per quanto mi riguarda, ha raccolto l’ovazione di una maggioranza di spettatori. E’ stata elevata a icona educativa.
S’ode a destra uno squillo di tromba; a sinistra risponde uno squillo: d’ambo i lati calpesto rimbomba.
“Brava mamma, così si fa. Complimenti” scrive una tizia “Queste sanno fare le mamme” ribatte un’altra “Così impara!” “Ai giovani d’oggi se non gli dai una bella lezione, hanno l’arroganza di non capire. Le vecchie sberle farebbero capire a molti che la violenza fa male sin da piccoli… ma parliamo anche di genitori che giustificano tutto perché non sanno educare”.
Commenti simili a una sega elettrica, di quelli che ti fanno venir voglia di ficcare la testa sotto il cuscino e tirarla fuori quando il peggio è passato. Parole che sono specchio di questo tempo, giudizi frettolosi, giustizia prêt-à-porter che riflettono coscienze fracassate, menti e cuori ridotti in miseria. Replicare alla violenza con violenza ancora maggiore sembra essere per molti la cura adeguata. Castigare in quella maniera significa innalzare la prepotenza e il sopruso a strumenti pedagogici. Vuol dire insegnare il bullismo con l’esempio.
Risaliamo di un livello, cos’è il bullismo? E’ un fenomeno che prevede azioni di sistematica prevaricazione e determinazione del potere messe in atto da un soggetto forte nei confronti di uno più debole. E’ evidente non sia confinabile a un ambito esclusivamente scolastico, sebbene quello sia il teatro d’azione prediletto.
E’ palese che non si possa, e non si debba, arginare con una cura omeopatica a suon di botte, aggressività e durezza. Occorre reprimere l’istinto forcaiolo e capire, una volta per tutte, che l’antidoto al bullismo è esattamente il suo opposto: la sollecitazione dell’empatia.
Beninteso che una pena vada assegnata, ma solo al termine di un percorso attraverso il quale il bullo si deve far emotivamente carico del dolore che ha causato. Un castigo violento e immediato, utile più che altro a zittire la coscienza e sentirsi genitori ottemperanti, verrà percepito come un conto saldato e, come tale, da archiviare.
Ma fino a quando video del genere, per quanto bufale, riceveranno tanti e tali entusiasmi, mi vien voglia di sollevare le dita dalla tastiera e rintanarmi con la testa sotto il cuscino. Perché ogni speranza di miglioramento sembra destinata a finire nel cesso.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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