“Zara Aga Khan veniva nel mio negozio di Porto Cervo con un’amica, si sedeva per terra ed iniziava ad ascoltare dischi. Poteva andare avanti per ore. Quelli che le piacevano li impilava sul pavimento, poi portava via tutto. Non ha mai pagato una volta: il giorno dopo passava il factotum di casa e saldava il conto”. Giuseppe Baffigo spegnerà l’insegna di Roxy Records il 30 settembre, per l’ultima volta, dopo 37 anni ininterrotti di attività. Ne chiudono tante, di botteghe, in questi tempi grami, perché far di lui il Personaggio del giorno? Perché la sua non è stata una bottega comune, anche se ogni bottega di questo mondo merita lo stesso rispetto. Perché un negozio di dischi che chiude è, comunque la si veda, l’esaurirsi di uno spazio dedicato alle culture. Dentro quello sgabuzzino da 44 metri quadri, aperto nel 1979 in Corso Garibaldi, ad Arzachena, soffiavano gli ultimi aliti della contestazione, c’era lo spirito libero di Woodstock, c’era la spensieratezza strafottente della Costa Smeralda e, dipinta su una parete, la riproduzione su sfondo nero della copertina di The Wall, per tornare ai Pink Floyd. Dopo quel negozio, il primo, Roxy Records ebbe una filiale a Porto Cervo, quella dove la figlia dell’Aga Khan selezionava i suoi dischi e dove Andrea Parodi incontrava Giuseppe per discutere di musica e vita. Ma dove sono passati un po’ tutti quelli che poi avremmo imparato a conoscere con l’acronimo di vip: da Mike Bongiorno a Edilio Rusconi, passando per Fiorello e Bryan Adams. Comprare un disco in vinile in questo pezzo di Gallura, per quasi quattro decenni, significava andare da Giuseppe Baffigo e varcare la porta del suo negozio di dischi. Ricordo di aver acquistato da Roxy Records, a metà degli anni ottanta, “Alive and Kicking” dei Simple Minds e “The Age of consent” dei Bronsky Beat. Ero un ragazzino e quel posto molto alternativo mi affascinava: tutti quelli che ci trafficavano dentro avevano una predica da farti, un abbigliamento fuori norma da esibire. C’era vita, tra quelle pareti, e poi Giuseppe attirava il pubblico femminile perché assomigliava tanto a Richard Gere, che in quel periodo era esploso con American Gigolò. “Il primo disco che ho venduto? Era certamente dei Pink Floyd, credo fosse Dark Side of the moon. Quello che ho venduto di più? Le raccolte dei Queen, specie dopo la morte di Freddy Mercury non riuscivamo mai a farcene portare abbastanza per soddisfare la richiesta”. Giuseppe non si commuove e non sembra aver granché da recriminare: “Il tempo passa, le mode cambiano, tutto finisce”. Però la decisione di chiudere il suo negozio ha anche un’altra spiegazione: “Io aprii il negozio perché un mio amico austriaco, George Paabst, si era messo in testa di avviare un’attività del genere in Svizzera e mi volle con sé. Io facevo il disc jockey, lavoravo nelle discoteche, la musica era la mia vita. Lo seguii con la mia Dyane 6, ma in Svizzera ci rimasi solo due mesi: troppo forte la nostalgia della Sardegna. Lui era un alto dirigente della Nikon, amava la nostra Isola e aveva una solida posizione economica. Tornò in Sardegna con me, vedemmo quel piccolo locale ad Arzachena e decidemmo di aprire, nonostante fosse un rudere da ricostruire. Partii con sette milioni di lire di debiti, per lo più l’archivio di cassette e vinili rilevati da Andrea Carta, il commerciante del corso che vendeva i dischi prima che io aprissi”.
George è morto ad aprile. E quando Giuseppe lo ha saputo, ha capito che un cerchio si era chiuso per sempre e l’insegna di Roxy Records andava spenta.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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