Il 19 aprile dovrebbe presentarsi in Consiglio regionale per il giuramento. Ma lui non ci sarà. Se per caso un giudice dovesse accordargli il permesso, si presenterebbe accompagnato dalla polizia penitenziaria e sarebbe subito sospeso, come vuole la legge Severino.
Satta è stato arrestato il 9 aprile scorso perché la direzione distrettuale antimafia ritiene sia implicato in un traffico internazionale di droga. Non nuovo a vicende giudiziarie, l’ex sindaco di Buddusò ha comunque percorso parallelamente la carriera politica riuscendo a occupare posizioni di rilievo, come quella di coordinatore provinciale dell’Udc per la Gallura. E ultimamente, nel gran valzer delle poltrone causato da una legge elettorale fatta con i piedi, era pure riuscito a centrare il gran salto in Consiglio regionale. L’ufficio centrale elettorale, ieri, lo ha indicato come sessantesimo componente dell’Assemblea, l’ultimo mancante dopo la ridda di ricorsi e controricorsi che ha dato vita a un’autentica giostra di poltrone.
Il nome di Giovanni Satta è finito così su tutti i giornali nazionali, quale esempio illuminante di una degenerazione della politica che sembra non aver fine. Il Consiglio regionale sardo, in questo contesto, brilla di luce propria, avendo persino un vice presidente, Antonello Peru, rinchiuso nelle patrie galere, stavolta a causa dello scandalo sugli appalti delle opere pubbliche e numerosi componenti delle ultime due legislature sotto processo per la questione dei fondi destinati ai gruppi politici e spesi come fossero un ulteriore stipendio.
Il caso di Giovanni Satta, in un paese normale, dovrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso e spingere chi di dovere a introdurre qualche filtro nella selezione dei candidati che si propongono per amministrare la cosa pubblica.
L’agenzia di stampa per cui collaboro, nel riformulare il contratto, ha chiesto ai suoi giornalisti di produrre il casellario giudiziario e il certificato dei carichi pendenti, insieme a una dichiarazione firmata sugli eventuali rapporti di parentela con soggetti che lavorano direttamente o indirettamente per la multinazionale che ne detiene la proprietà. Si potrebbe partire da qui, ad esempio, ma il magico mondo della politica non gradisce regole che abbiano a che fare con il comune senso del pudore. Per cui, ne sono certo, il vaso continuerà a traboccare.
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