Un paradossale timore, negli ultimi tempi, sembra quasi frenare le doverose domande che è lecito porsi, quando in Sardegna avviene un omicidio. Se si cerca una spiegazione sulla fine tragica di un uomo per mano di un altro uomo, può capitare di essere accusati di voler alimentare antichi e superati pregiudizi su quelli che una volta venivano bollati come luoghi del malessere. Siccome di omicidi ne avvengono in tutto il mondo e non è un problema solo sardo, c’è chi tende a minimizzare per non dare appigli al ritorno di tristi luoghi comuni su vendetta, omertà e presunti codici sociali non scritti. Ma un omicidio è un omicidio. Una vita umana è una vita umana. E la fine di una vita umana per opera di un altro uomo è fatto brutale che, al di là delle interpretazioni, merita tutte le domande, tutti gli approfondimenti e tutta l’attenzione possibili. Quell’attenzione che nel caso dell’omicidio di Giovanni Calia – ucciso poche ore fa a Lula – ed anche per precedenti fatti di sangue mi è sembrata inferiore a quanto sarebbe stato ragionevole attendersi, liquidata come semplice regolamento di conti che non merita riflessioni. Il pericolo di facili generalizzazioni impone la prudenza, ma neppure si può far finta che non sia accaduto nulla. No, è stato ammazzato un uomo, la cosa più grave che in una comunità possa accadere.
Significative le dichiarazioni di Mario Calia, sindaco di Lula: il primo cittadino ha coraggiosamente ammesso di essere preoccupato da possibili ripercussioni al delitto. Cosa intende per ripercussioni, se non nuovi fatti di sangue? Ecco, bastano queste parole del rappresentante di un centro di 1400 abitanti per ribadire la necessità di capire, di porsi delle domande, di invocare giustizia, chiarezza e la massima collaborazione a favore degli investigatori. C’è il pericolo che questa morte possa avere conseguenze tragiche, bisogna tenere alta la guardia. Far finta di nulla, tacere per il timore di macchiare la reputazione di un luogo, sono atteggiamenti inaccettabili. Cercare i responsabili di un omicidio non significa processare una comunità, il che sarebbe stupido e inutile. Significa far valere il principio fondamentale di uno Stato di diritto.
Calia, 63 anni, è stato ucciso domenica mattina nelle campagne del paese. Nel suo passato, una condanna per sequestro di persona su vicende risalenti ad oltre trent’anni fa. Le piste investigative conducono tutte a queste ombre del suo passato e accreditano l’ipotesi che qualcuno, per tutto questo tempo, abbia atteso il momento della vendetta. Calia aveva saldato il suo conto con la giustizia ed era tornato a lavorare a Lula. Aveva tutto il diritto di vivere la sua seconda vita e nessuno aveva il diritto di ammazzarlo. Teniamolo bene a mente.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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