Qualcuno se lo ricorderà soltanto perché, nel 2014, partecipò da anziano novantenne a “Ballando con le stelle” e questa sarebbe, davvero, un terribile tragedia. Perché Albertazzi, fascista che aderisce nel 1943 alla Repubblica di Salò, comandante di un plotone di esecuzione nel 1945 e per questo motivo finisce in carcere, condannato per “collaborazionismo”, liberato nel 1947 dall’amnistia di Togliatti, non può essere ricordato per questi strani episodi della sua lunga vita: il primo e l’ultimo. In mezzo c’è stato tanto, tantissimo e c’è stata anche bravura, talento, intuizione, gigioneria, istrioneria, antipatia, cattiveria, arte. La vita di Albertazzi è stata intensa e dopo la parentesi fascista (che lo segnerà, comunque tutta la vita, inviso per sempre dall’intellinghenzia dei salotti della sinistra bene) cominciò con il teatro, con i classici, con Shakespeare, lavorando con alcuni mostri sacri come Luchino Visconti, Franco Zeffirelli (in un fantastico e sublime Amleto) Renzo Palmer, Gabriele Lavia e con Dario Fo a raccontare insieme la storia del teatro. E’ morto oggi, all’età di quasi 93 anni (era nato a Fiesole, il 20 agosto 1923). Ho pensato a lui come personaggio del giorno perché io, Giorgio Albertazzi, l’ho conosciuto davvero e ho capito cosa significhi essere divi. Correva l’anno 2002. Avevo pubblicato il mio primo libro “Asinara, il rumore del silenzio”. Ci fu una recensione sul Corriere della Sera e il libro interessò una trasmissione televisiva di Rai3: Cominciamo bene. Si doveva discutere del silenzio in generale. Prima di me un servizio su alcuni personaggi muti, poi un’intervista ad una signora che aveva rotto il silenzio su un fatto grave di cronaca, poi sarebbe toccato a me e avrei parlato del silenzio in carcere, sopratutto all’Asinara. A chiudere la trasmissione Giorgio Albertazzi che avrebbe dovuto spiegare l’importanza e il peso delle pause teatrali, dei grandi silenzi pieni di pathos. Ci trovammo con lui nella zona pre-trasmissione e fui sbrigativamente presentato da un addetto alla televisione, mentre una truccatrice gettava della polvere in faccia ad entrambi. Porsi garbatamente la mano e abbozzai un sorriso. Nessuno disse niente e pensai fosse giusto: era la trasmissione basata sul silenzio. Entrai in scena e mi fecero sedere su una bellissima poltrona gialla, mentre la telecamera indugiava sull’ospite precedente (la diretta in televisione è davvero molto comica a guardarla da dietro le quinte). Con la presentatrice avevamo deciso per due, massimo tre domande. Il mio era un tempo limitato e non si poteva sforare: dopo c’era Giorgio Albertazzi. Non ho mai capito cosa accadde ma, in base alle mie risposte e ai miei racconti, la bionda presentatrice continuò a domandare e a farmi parlare. C’erano cartelli di stop, mani che si agitavano e la signora che senza problemi continuava. Sforammo di due minuti. Per la televisione un’enormità. Mandarono lo stacco pubblicitario e mi congedai ringraziando. Mi avvicinai a Giorgio Albertazzi che, con la sua sciarpa bianca attendeva dietro le quinte. Volevo chiedergli scusa, anche se in realtà avevo poche colpe. Lui, da attore consumato, intuì e con un sorriso disse: “Non si preoccupi, io sono Giorgio Albertazzi, se hanno sforato per lei sforeranno sicuramente anche per me.” Fu una stretta di mano decisa, accompagnata solo dal silenzio. Quello che è utile oggi per ricordarlo: un grande interprete, un grande autore e un buon regista. Il palcoscenico della vita ha perduto un protagonista. Giorgio Albertazzi si è presentato, con la sua sciarpa bianca, dietro le quinte del grande teatro dell’eternità. Dove il tempo, a quanto pare, non ha valore.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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