Ogni sardo spende mediamente in scommesse 927 euro l’anno. La spesa totale in scommesse, in Sardegna, è di 1,5 miliardi di euro, metà della spesa sanitaria regionale. Nel 2015, 13 mila sardi hanno scommesso una cifra superiore ai 92 mila euro. Un dirigente d’azienda sassarese, in cura presso il Sert di Olbia, ha contratto nel gioco debiti per 600 mila euro e ha avuto la casa pignorata. La diocesi di Tempio Ampurias ha istituito un servizio finanziario anti usura per sostenere quelle famiglie ridotte sul lastrico dalla dipendenza da gioco di un loro componente.
Tutto queste cifre le ho raccolte al seminario sulla dipendenza da gioco d’azzardo promosso dall’Ordine dei giornalisti a Olbia. Tra gli interventi dei relatori, mi ha molto colpito quello del sociologo Maurizio Fiasco, presidente dell’associazione Alea che da anni si occupa di studiare questo perverso fenomeno. Dati e grafici alla mano, Fiasco ha illustrato come negli ultimi vent’anni lo Stato si sia trasformato in un biscazziere, inducendo in ogni modo possibile la dipendenza di una fascia di popolazione sempre più ampia: se una volta la fortuna la si cercava con la Lotteria di Capodanno e la schedina del totocalcio, una volta all’anno o alla settimana, oggi videopoker, gratta e vinci e turisti per sempre offrono continuamente la tentazione di una puntata, in qualunque momento del giorno. È stata una precisa scelta di marketing, concepita negli anni novanta e ratificata nel 2002: offrire mille occasioni frammentate in una gamma infinita di piccoli premi, in modo da rendere accessibile l’azzardo a tutti. Quando, vent’anni fa, il banco saltò, perché l’incasso dai giochi fu inferiore ai premi in palio, il Governo fu costretto a prelevare una trentina di miliardi di lire dai fondi straordinari per le calamità per pagare le vincite. Quando un magistrato pose il problema della legalità di questo corso dello Stato biscazziere, il Parlamento s’inventò un “dispositivo linguistico” (espressione di Fiasco) per attenuare l’elemento di casualità dai giochi a premi e accentuarne l’inesistente componente abilità. Perché lo Stato fa questo? Perché anche se i suoi introiti sono molto relativi, in confronto all’enorme movimentazione di denaro complessiva, di quei soldi lo Stato ha bisogno, per coprire di anno in anno alcune voci della spesa corrente. Non può più farne a meno. In qualche modo, anche lo Stato è dipendente dal gioco d’azzardo. E il cerchio si chiude. Un’ultima domanda. Si potrebbe quantificare l’incidenza del gioco d’azzardo sulla crisi economica, considerato che il 3 per cento della popolazione ne è dipendente ed è disposto a giocarsi casa, famiglia, riconoscimento sociale e salute in videopoker e gratta e vinci?
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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