“Así nos despertamos: periodistas, policía y personas con las maletas. Muchas historias, entrevistas y políticos que sacan la bandera de su país diciendo siempre la misma cosa. No hay país, no hay color de piel, no hay idioma. Hay un mundo. Porque lo que paso ayer, lo que ha pasado en otras ciudad y lo que pasará mañana esta pasando en el mundo. Entonces solo de una cosa estoy seguro: no tengo miedo al tío de ayer que me paso en frente con la furgoneta, tengo miedo a quien hace el mal y no muestra su cara. Porque todos somos capaces de hacer violencia y desde hoy no admito ningún tipo de violencia, ni que sea de palabra. Dias como hoy duele la mala educación, la falta de solidaridad, y la gente que no se ahorra las palabras de aliento la humanidad cuándo mas se necesita. ya no me voy a callar el dolor cuando esto pasa aunque venga de un amigo o un compañero de trabajo, porque la indiferencia también es violencia. Quiero solo buena gente alrededor mio y de mi familia.” *
Questo è il pensiero che Gabriele Manunta ha affidato a fb la mattina dopo l’inferno. A mente fredda. Quando ha potuto analizzare, con la sensibilità di cui è capace, i terribili fatti che lo hanno visto testimone e per certi versi protagonista. Si, Gabriele Manunta è un mio concittadino, un ragazzo che conosco fin da piccolo, da quando a sei anni ha iniziato a fare minibasket. Uno scricciolo dagli occhi vispi, furbi che il papà Salvatore, dirigente del “glorioso” Porto Torres Basket, accompagnava e seguiva da padre premuroso e attento quale era.
Ora Gabriele è un uomo. Un uomo che ha scelto Barcellona per realizzare le sue aspirazioni, per affermarsi in una città che i giovani amano. Una città che accoglie ragazzi di tutto il mondo, una città particolarmente cara a noi sardi, sia per il legame consolidato nei secoli, sia soprattutto per questa caratteristica di metropoli aperta ad ogni etnia, a ogni cultura, a ogni religione.
Gabriele da diversi mesi dirige l’Euskal, un ristorante tipico dove si servono specialità della cucina basca, che si affaccia proprio sulla Rambla dove giovedì scorso quel terrificante atto di terrorismo commesso da un pazzo esaltato ha seminato morte e terrore.
Gabriele è oggi l’eroe di Porto Torres e non solo. Lo è diventato perché ha saputo mantenere, nonostante le tensioni e le concitazioni di quei momenti, la freddezza e la lucidità di accogliere, di ospitare, di soccorrere e di tranquillizzare le decine di persone in preda al terrore che si sono rifugiate nel suo locale, stipato all’inverosimile.
Gente di ogni età e nazionalità, gente che ha saputo gestire con calma e razionalità, gente che ha “salvato” come un moderno Perlasca.
E quando le forze di polizia, i corpi speciali, con i quali Gabriele è stato in continuo contatto, hanno consentito l’apertura e l’evacuazione del ristorante, solo allora è stato possibile trarre un sospiro di sollievo: tutto è rimasto integro, tutte le persone ospitate, compresa la giovane terrorizzata che si era rifugiata nei magazzini, hanno potuto lasciare l’Euskal, grati a quel giovane che a tutti ha saputo regalare una parola di conforto, una carezza, una mano. Tuttti con la morte nel cuore, ma sani e salvi.
Al rientro a casa, poco dopo la mezzanotte, Gabriele ha appena la forza di scrivere: “Sono a casa, tutto bene. Grazie a tutti per scrivermi”: un pensiero per tranquillizzare i tanti parenti e amici che a Porto Torres sono in apprensione.
E il giorno dopo è quello delle riflessioni più profonde, dei bilanci, dei conti con la coscienza… e della telefonata dello staff della sindaca di Barcellona che desidera incontrarlo.
Ada Colau, che guida il capoluogo della Catalogna, ha voluto incontrare Gabriele! Per ringraziarlo, per farsi raccontare quello che già sa, per stringere la mano al nostro grande concittadino e fargli i complimenti. Ada Colau, che curiosamente porta lo stesso nome della madre di Gabriele, Ada Cossu.
*(Trad.: Così ci siamo svegliati: giornalisti, polizia e persone con le valigie. Molte storie, interviste e politici che prendono la bandiera del loro paese dicendo sempre la stessa cosa. Non c’è paese, non c’è colore di pelle, non c’è lingua. C’è un mondo. Perché quello che è successo ieri, ciò che è successo in altre città e quello che succederà domani, sta succedendo nel mondo. Allora solo di una cosa sono sicuro: non ho paura del tizio di ieri che mi passò di fronte col furgone, ho paura di chi fa il male e non mostra la sua faccia. Perché siamo tutti in grado di fare violenza e da oggi non ammetto alcun tipo di violenza, neanche verbale. In giorni come questo fa male la cattiva educazione, la mancanza di solidarietà, e la gente non risparmia le parole di incoraggiamento all’umanità quando ne ha più bisogno. E non mi va più di tacere il dolore quando succede anche se viene da un amico o da un collega, perché l’indifferenza è anche violenza. Voglio solo brave persone intorno a me e alla mia famiglia.)
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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