E quindi alla fine sono spuntati i primi 100 nomi italiani dalla lista dei cosiddetti Panama Papers, quei files riconducibili a Mossack Fonseca, studio specializzato nella costituzione di società anonime. A scorrere questi 100 nomi quasi traspare un po’ di delusione: non si tratta di personaggi noti al pubblico di massa e non è possibile richiamare alla mente i loro volti, come fatto con quelli circolati nelle prime ore. Ipotizzando che i contenuti delle notizie trapelate corrispondano a realtà (c’è già chi parla di lista sospetta, data l’assenza di nomi di cittadini americani), ipotizzando che siano dimostrabili dei reati e immaginando di poter tracciare un identikit del furbetto italiano che porta i suoi soldini in quel di Panama, utilizzando i tratti dei volti noti verrebbe fuori un essere avente l’ovale pacioccone di Carlo Verdone, l’inespressività plastificata di Valentino, la scollatura di Barbara d’Urso e i capelli di Montezemolo.
Personaggi che, a vederli, così non c’entrano niente gli uni con gli altri – a parte l’unanime risposta data ai media di fronte alla fuga di notizie, “non so niente, o forse sì ma è una roba vecchia, no, non ricordo”- dando origine a un quadro strambo e, proprio per questo, tutto italiano.
Potremmo anche dire: chi se ne frega di Verdone e Valentino, gli inglesi in quella lista hanno un certo Ian Cameron e ora il figlio premier è chiamato in causa. Un po’ è vero, chi se ne importa di questa gente.
Gli islandesi, poi. Il loro premier si è dovuto dimettere. Già, gli islandesi. Questo popolo strano, trecentomila anime che sopravvivono ad una crisi bancaria nazionale, mandano in galera i banchieri e ne appiccicano le foto dei volti nei cessi pubblici, scendono in piazza appena la lista panamense salta fuori e con slogan nella loro ostica lingua, mandano a casa il ministro Gunlauggson (nella foto)accusato di tresca finanziaria con Mossack Fonseca. A ben vedere, il personaggio del giorno dovrebbe essere proprio lui, il popolo islandese. Perché la sensazione è che se qui da noi al posto di d’Urso ci fosse stata, che so, un ministro della repubblica, la reazione italiana sarebbe stata la stessa, sì, vabbé, chi se ne frega.
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