Se ci fosse ancora Umberto Eco lo inviterei a scrivere la fenomenologia di Fabio Fazio, che dovrebbe essere un’appendice di quella che scrisse per Mike Bongiorno. I due sono molto simili con una differenza: Fazio fa il political correct, il frikkettone docile di una sinistra non ben distinta, mentre Mike, il grande Mike faceva solo ed esclusivamente una cosa e la faceva dannatamente bene: Mike Bongiorno. Fazio ieri ha chiuso la sua ultima puntata di “fuori che tempo che fa” e probabilmente ha anche chiuso, dopo 33 anni, con mamma Rai, forse per una sottile questione di soldi che chiaramente non va esplicitata. Fazio ha sempre avuto nel corso degli anni parole dolci per chiunque: tutti i suoi ospiti erano eccezionali, bravi, competenti e preparati. Tutti magnifici e unici. Chiaramente non era vero anche perché Fazio non ha invitato chiunque alla sua trasmissione, ma ha contribuito a far diventare fenomeno di costume qualcuno a discapito di un altro. Ha costretto le grandi casi editrici a disputarsi un posto sulla sua poltrona bianca. Chi passava da quelle parti aveva le vendite del libro assicurate di almeno diecimila copie. Le major del cinema italiano sono passate al suo cospetto per la promozione di film che, in alcuni casi, erano improponibili e anche le mirabolanti parole di Fazio non hanno funzionato. Però nel circo di Fabio tutto è bello, perfettibile, dolcemente ironico. C’è posto per tutti, anche per Marzullo, ultima sua creatura rispolverata insieme a Fabio Volo a fare “presenza” in una trasmissione dove entrambi brillano per loro folgorante inutilità. Fabio Fazio ha avuto la geniale idea di costruire una trasmissione innovativa, quasi come l’altra domenica di Renzo Arbore: era “Quelli che il calcio” prima maniera, con le voci bellissime dei cronisti di tutto il calcio minuto per minuto che interrompevano la trasmissione televisiva, con gli invitati nei campi e con alcune trovate degne dei tormentoni di “Alto gradimento”. Poi ci fu il progetto “Anima mia” con Claudio Baglioni simpatico ed intrigante. Infine “Che tempo che fa” la quarta camera (dopo la terza di appannaggio a Bruno Vespa) quella più colta, più trendy, più dolce, più radical chic che ha davvero stufato. Ci fu, a dire il vero, un momento di contrapposizione a Berlusconi. Momento sicuramente impegnato e sostanziale, ma non eccessivamente di contrapposizione. Fazio, da buon acrobata, riuscì a camminare molto bene sul filo della censura e, infatti, non fu incluso nel famoso editto bulgaro dove ci finirono Santoro, Luttazzi e Biagi. Fazio è diventato il clone di se stesso: ripetitivo, scontato, falsamente ironico e con una Luciana Littizzetto anch’essa imprigionata da se stessa e dalla ragazza sempre monella che sa dire solo parolacce (un po’ come i bambini che ripetono cacca e culo e ridono). Fazio probabilmente abbandonerà la Rai e il suo programma (meglio, il suo carrozzone) migrerà in qualche altra soluzione: “Non è una questione di soldi” ha detto. E noi, visto che ha la faccia del bravo ragazzo sempre disponibile e sorridente gli crediamo. O no? Probabilmente ha ragione Fiorello, invitato all’ultima trasmissione: “il programma si può intitolare “Che tempo che fu” e in questa bellissima battuta c’è tutta l’essenza della fenomenologia di un programma e del suo conduttore.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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