Fantasticando, ho provato ad immaginare cosa accadrebbe se lo spirito di Esteban Chaves s’impossessasse per una sola domenica del mondo del calcio, dalla seria A alla Terza categoria. Alla fine di un derby decisivo per la vittoria del campionato, l’allenatore della squadra sconfitta così risponderebbe alle domande dell’intervistatore.
Giornalista: “Crede che quel calcio di rigore a vostre favore non fischiato dall’arbitro, a pochi minuti dalla fine, sia stato decisivo per il risultato finale?”
Mister: “No, guardi, il calcio è fatto di episodi e l’arbitro può sbagliare come chiunque, tra l’altro per me il rigore non c’era. Abbiamo perso perché i nostri avversari sono stati più bravi di noi e hanno meritato il risultato. Giusto così, faccio i complimenti ai vincitori e mi godo, pur da sconfitto, questa bella giornata di sport, che i calciatori della mia squadra hanno onorato con una prova di cui vado fiero”.
Sappiamo che non succederà mai, ma è bello sognare lo sport semplicemente come leale confronto tra uomini, senza veleni e dietrologie d’accatto.
Esteban Chaves ha dimostrato che si può, sul traguardo di Sant’Anna di Vinadio, e forse le sue parole da uomo vero hanno persino oscurato il magnifico trionfo di Vincenzo Nibali. Chaves, piccolo scalatore colombiano, aveva indossato la maglia rosa di leader del Giro d’Italia venerdì scorso, strappandola all’olandese Krujiswjik, attardato da una caduta. Ma da quella tappa in terra francese era iniziata la rincorsa in classifica generale di Vincenzo Nibali, completata ieri con la prova di forza sulla salita di Sant’Anna e la conquista della maglia rosa. Chaves ha lottato, ma su pendenze più adatte al campione siciliano si è dovuto arrendere. Chaves ha 26 anni, ma la sua minuscola corporatura e il volto da bambino felice traggono in inganno i più: Chaves sembra un ragazzino.
Quando ieri lo hanno intervistato, a fine tappa, gli hanno chiesto se la cura di antibiotici per un raffreddore gli avesse tolto le forze e la vittoria finale. Lui, con quell’enorme sorriso stampato sul volto, ha detto di no, che non c’entravano nulla gli antibiotici, che non c’erano scuse, che nel ciclismo vince sempre il più forte, che Nibali era più forte ed era giusto che fosse lui a vincere il Giro. Poteva recriminare su alcuni giochi di squadra dell’Astana, la squadra di NIbali, ma il pensiero non lo ha nemmeno sfiorato. L’unico suo desiderio era di riconoscere la superiore forza dell’avversario, inchinandosi al risultato sportivo.
Pochi minuti prima, sul traguardo, il padre e la madre del piccolo Esteban erano corsi ad abbracciare Nibali, quell’avversario che aveva tolto al loro figlio la vittoria al Giro d’Italia, ad una manciata di chilometri dall’arrivo.
Si può vivere lo sport anche così. Chaves, qualche anno fa, ebbe un incidente che sembrò aver compromesso definitivamente la sua promettente carriera in bicicletta. Invece tornò in sella e i risultati li vediamo tutti. Ha capito, il piccolo Esteban, che ci sono sconfitte e vittorie ben più grandi di quelle decise da un cronometro. Tal Pier Paolo Pasolini, qualche anno fa, si augurava che le giovani generazioni venissero educate al valore della sconfitta e comprendessero quanta umanità essa liberasse. Esteban Chaves ieri ci ha spiegato cosa significa.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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